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    23 marzo 2022

    L’usucapione di quota

    Cassazione ordinanza 28 luglio 2021 n. 21612. Si discute da sempre sulla possibilità di un comproprietario di usucapire la quota degli altri comproprietari. Per l’operare dell’usucapione è necessario il c.d. animus possidendi e cioè la convinzione di essere effettivamente proprietario. Secondo parte della dottrina per il comproprietario è impossibile dimostrare tale animus. La Corte, invece, afferma la possibilità di usucapire le quote degli altri comproprietari purchè i venti anni per il perfezionamento dell’usucapione siano decorsi prima dell’atto di divisione. Nel caso di specie la Corte afferma che il coerede può usucapire la quota degli altri eredi purchè il tempo necessario risulti già trascorso prima del momento in cui sia intervenuta la divisione dell’asse ereditario con gli altri comunisti. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    25 febbraio 2022

    Usucapione e non clandestinità del possesso

    Cassazione 30 aprile 2021 n. 11465.Ai fini dell’usucapione il requisito della non clandestinità va riferito non agli espedienti che il possessore potrebbe attuare per apparire proprietario ma al fatto che il possesso sia stato acquistato ed esercitato pubblicamente, cioè in modo visibile a tutti o almeno ad un’apprezzabile e indistinta generalità di soggetti e non solo dal precedente possessore o da una limitata cerchia di persone che abbiano la possibilità di conoscere la situazione di fatto soltanto grazie al proprio particolare rapporto con quest’ultimo. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    16 giugno 2021

    Usucapione e fallimento

    Cassazione 13 maggio 2021, n. 12736.L'usucapione è opponibile al fallimento del precedente proprietario solo se la relativa sentenza di accertamento è anteriore al fallimento. Nel caso, invece, di accertamento negoziale dell'usucapione è necessario che tale accertamento sia trascritto, a norma dell'art. 2643 n. 12-bis, c.c., anteriormente al fallimento, evidenziandosi perciò, correttamente, la differenza fra la trascrizione della sentenza ex art. 2651 c.c., che non è requisito di opponibilità ma di semplice pubblicità notizia e la trascrizione dell'accertamento negoziale ex art. 2643, n. 12- bis, che invece è indispensabile ai fini dell'opponibilità al fallimento a norma degli artt. 2644 c.c. e 45 legge fallimentare. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    01 settembre 2020

    Usucapione del compossessore

    Cassazione, ordinanza 4 giugno 2020, n. 10620.  In tema di possesso ad usucapionem di beni immobili, la fattispecie acquisitiva del diritto di proprietà si perfeziona allorchè il comportamento materiale continuo ed ininterrotto attuato sulla res sia accompagnato dall’intenzione resa palese a tutti di esercitare sul bene una signoria di fatto corrispondente al diritto di proprietà, sicchè, in materia di usucapione di beni oggetto di comunione, il comportamento del compossessore, che deve manifestarsi in un’attività apertamente ed obiettivamente contrastante con il possesso altrui, deve rivelare in modo certo ed inequivocabile l’intenzione di comportarsi come proprietario esclusivo. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    14 agosto 2017

    Usucapione: sì quando non è mera tolleranza

    Corte di Cassazione, Sezione II civile, ordinanza n. 16414 del 4 luglio 2017 In tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è di per sé sufficiente all'esercizio del possesso ad usucapionem, potendo, invece, essere conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell'altro compossessore. Ai fini dell'usucapione è necessaria, infatti, la manifestazione del dominio esclusivo sulla cosa comune da parte dell'interessato attraverso un'attività  durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui. L'onere della relativa prova grava su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Il fatto Veniva proposta dinanzi al Tribunale di Roma domanda di usucapione, per possesso uti domini ultraventennale, di un terreno, di cui parte attrice era proprietaria solo al 25% e su cui aveva edificato a sua cura e spese un'abitazione di tre camere e servizi. Il Tribunale di Roma dichiarava l'acquisto per intervenuta usucapione del 75% del terreno, ordinando al Conservatore di procedere alla trascrizione. Al contrario, a seguito di gravame, la Corte d'Appello di Roma riformava la pronuncia, rigettando la domanda di usucapione. Le ragioni giuridiche La Corte di Cassazione ha avuto gioco facile nell'osservare come la Corte territoriale si sia correttamente attenuta al principio di diritto, costante nella giurisprudenza di legittimità , secondo cui "in tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all'esercizio del possesso ad usucapionem e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell'altro compossessore, risultando necessario, a fini della usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res communis da parte dell'interessato attraverso un'attività  durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene". In applicazione di tale principio, la Corte d'appello ha affermato, all'esito della valutazione delle risultanze processuali, che non solo non vi era la prova del dominio esclusivo sull'intera res comune concretizzatosi in un'attività  incompatibile con il possesso altrui, ma anche che, da una scrittura privata antecedente, risultava che gli altri comproprietari, suddividendosi la spesa necessaria per accatastare l'immobile, non avevano per nulla inteso dismettere il loro diritto, come riconosciuto dalla stessa. Alla luce, dunque, di queste valutazioni, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo non intervenuta alcuna usucapione del terreno oggetto di compossesso. Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes

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    26 luglio 2017

    No all'usucapione se il passaggio è previsto per...

    Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza n. 15843 del 26 giugno 2017 Affinché possa costituirsi servitù per usucapione occorre, oltre al requisito dell'apparenza, che non si ricada in una delle ipotesi previste dall'art. 843 c.c. in cui il proprietario di un fondo è obbligato per legge a permettere l'accesso e il passaggio sul suo fondo. Tali ipotesi, infatti, rappresentano obbligazioni propter rem e pertanto non possono determinare la costituzione di una servitù. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes Il fatto La Corte d'Appello di Venezia, adita su impugnazione di sentenza del tribunale di Venezia, ha rigettato il gravame, ritenendo che l'eventuale pratica di accesso alla zona contatori, ricadente nella proprietà  del vicino, non avesse potuto dar luogo alla costituzione di servitù per usucapione ventennale poiché, da un lato, l'articolo 843 c.c. prevede che il proprietario debba consentire l'accesso del vicino alla cosa propria per manutenzione a titolo di obligatio propter rem e poiché, d'altro lato, la presunta servitù non avrebbe avuto il requisito dell'apparenza a causa del fatto che il cancello, cui veniva ricondotto tale requisito, era al servizio del fondo dominante e su esso giacente, nonché, infine, poiché il teste escusso aveva riferito che il vicino permetteva alle auto di fare inversione di marcia sulla sua proprietà  e che l'utilizzo era stato richiesto per iscritto. Le ragioni giuridiche La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso e dunque escludere l'avvenuta costituzione di servitù per usucapione ventennale, condivide principalmente i due argomenti sostenuti dalla Corte di Appello, ed in particolare da un lato che l'articolo 843 c.c. prevede che il proprietario debba consentire l'accesso del vicino alla cosa propria per manutenzione a titolo di obligatio propter rem e d'altro lato che la presunta servitù non avrebbe avuto il requisito dell'apparenza, necessario ai fini dell'usucapione. Per quanto attiene il primo argomento, ai sensi dell'art. 843 c.c., il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio nel suo fondo in una serie di ipotesi, ovvero quando ve ne sia necessità  al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune. Se l'accesso cagiona un danno, è dovuta un'adeguata indennità . Il proprietario deve, inoltre, permettere l'accesso anche a chi voglia riprendere la cosa sua che vi si trovi accidentalmente o l'animale che vi si sia riparato sfuggendo alla custodia, potendo impedire l'accesso solo consegnando la cosa o l'animale. Tutte queste ipotesi costituiscono, secondo la Cassazione, ipotesi di obbligazioni propter rem e come tali non possono essere oggetto di usucapione. Per quanto attiene il secondo argomento, quello dell'apparenza, che la Cassazione affronta solo per completezza, rileva come, diversamente da quanto accaduto nel caso concreto, in materia di usucapione delle servitù, il necessario requisito dell'apparenza impone che le opere visibili e permanenti di cui all'articolo 1061 comma 2 c.c., quand'anche eccezionalmente si trovino sul fondo dominante, debbano comunque essere, come prescrive detta norma, "destinate al loro esercizio", cioè costituenti una situazione oggettiva di fatto di per sé rivelatrice dell'assoggettamento di un fondo ad un altro, dovendo quindi l'inequivoca destinazione dipendere dalle oggettive caratteristiche dell'opera e non già  dal modo in cui questa viene utilizzata. Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes

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    10 dicembre 2016

    Le parti comuni del condominio possono essere...

    La Corte di Cassazione [1] ha recentemente esaminato un'interessante questione giuridica, riguardante la possibilità  di usucapione delle parti comuni del condominio da parte di un singolo condomino. Può capitare, infatti, che nel vivere quotidiano del condominio, uno dei condomini inizi a usare le parti comuni in maniera esclusiva. Nel caso recentemente analizzato dagli Ermellini il convenuto aveva, ad esempio, in occasione di una ristrutturazione, chiuso con opere murarie e una porta un porticato comune, impossessandosi tra l'altro di un forno ivi situato. In tali casi, occorre chiedersi se maturino i presupposti necessari per poter usucapire il diritto di proprietà  in relazione alle parti comuni. Per vero, nel caso di specie, la Corte non ha ritenuto raggiunta la prova dell'avvenuta usucapione, ma esclusivamente in base all'accertamento di fatto in relazione al singolo caso, ammettendola tuttavia come astrattamente possibile. In particolare, più nel dettaglio, la Corte di Cassazione ha affermato che "il condomino può usucapire la quota degli altri senza che sia necessaria una vera e propria interversione del possesso". L'interversione del possesso, come noto, è un istituto disciplinato dall'art. 1164 c.c. che prevede che chi abbia il possesso di un bene corrispondente all'esercizio di un diritto reale su cosa altrui non possa usucapire il bene se non muti il titolo del suo possesso per causa proveniente da un terzo o in forza di un'opposizione da lui fatta contro il diritto di proprietà . Tant'è che in queste ipotesi il tempo necessario per l'usucapione inizia a decorrere solamente dal momento del cambio del titolo del possesso. La Corte ha affermato però che, seppur non necessaria una vera e propria interversione nel possesso, è anche vero che "non è sufficiente che gli altri condomini si siano astenuti dall'uso del bene comune, bensì occorre allegare e dimostrare di aver goduto del bene stesso attraverso un possesso esclusivo in modo inconciliabile con la possibilità  di godimento altrui e tale da evidenziare un'inequivoca volontà  di possedere "uti dominus" e non "uti condominus", senza opposizione, per il tempo utile ad usucapire"[2]. Comportarsi uti dominus significa qualcosa di diverso e ulteriore rispetto al mero comportamento uti condominus, riconosciuto a tutti i condomini sulle parti comuni ai sensi dell'art. 1102 c.c. comma 1: vuol dire esercitare un potere sulla cosa in maniera totalizzante, ovvero averne un possesso esclusivo, inconciliabile con il godimento da parte degli altri. Infatti, continua la Corte, "il condomino che deduce di aver usucapito la cosa comune ("¦) deve provare di averla sottratta all'uso comune per il periodo utile all'usucapione, e cioè deve dimostrare una condotta diretta a rilevare in modo inequivoco che si sia verificato un mutamento di fatto nel titolo del possesso, costituito da atti univocamente rivolti contro i compossessori, e tale da rendere riconoscibile a costoro l'intenzione di non possedere più come semplice compossessore, non bastando al riguardo la prova del mero non uso da parte degli altri condomini, stante l'imprescrittibilità  del diritto di comproprietà ". [1] Corte di Cassazione, sentenza n. 20039 del 6 ottobre 2016. [2] Corte di Cassazione, sentenza n. 17322 del 23 luglio 2010.

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    07 dicembre 2016

    Si puಠusucapire un'azienda?

    Come è noto l'ordinamento conosce un modo di acquisto della proprietà  a titolo originario per usucapione, ovvero che si realizza attraverso un possesso continuato del bene per un certo lasso di tempo. Ma cosa esattamente può essere oggetto di usucapione? Per capire se l'azienda, nella sua interezza, possa o meno essere usucapita occorre necessariamente prendere le mosse dalla sua natura giuridica. Il Codice civile, all'art. 2555, definisce l'azienda come il complesso di beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa. Or dunque, a seconda della natura giuridica che si voglia attribuire all'azienda, cambia anche la soluzione giuridica che si darà  alla sua usucapibilità . In particolare, se si ritiene che l'azienda sia un complesso di singoli beni, solo quest'ultimi possono essere oggetto di possesso e quindi di usucapione. Al contrario, se si vuole considerare l'azienda quale bene autonomo e distinto rispetto ai singoli beni che la compongono (alla luce del nesso funzionale che li lega) allora occorre domandarsi se tale organizzazione di beni possa essere, complessivamente considerata, oggetto di possesso. L'art. 2555 c.c. va infatti coordinato con l'art. 1140 c.c. che prevede che solamente le "cose" possono essere oggetto di possesso e dunque di usucapione, ai sensi degli artt. 1158 c.c. e ss. Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite[1], con una decisione che riguardava l'usucapione di una farmacia da parte di un soggetto che per venti anni l'aveva gestita comportandosi come unico proprietario. La Corte di Cassazione evidenzia innanzitutto come il richiamo effettuato dall'art. 1140 c.c. alle "cose" non vada inteso in senso naturalistico, ma bensì economico-sociale, di talchè non vi sarebbero nel nostro ordinamento ostacoli insormontabili al riconoscimento del complesso organizzato di beni (quali l'azienda) come "cosa" e quindi come oggetto di possibile possesso. Questo è ancor più vero ove si consideri che il riferimento alle "cose" dell'art. 1140 c.c. non esclude, per vero, nemmeno il possesso delle cose immateriali. Ciò che al contrario occorre valutare è se vi siano nel sistema giuridico italiano norme incompatibili con il principio di usucapibilità  dell'azienda. La Corte di Cassazione svolge, quindi, un'analisi sistematica, notando come non vi siano in tal senso norme ostative, ma al contrario, come vi siano norme che il possesso dell'azienda lo consentono espressamente o comunque lo presuppongono. In particolare, gli artt. 2556 e 2561 c.c. prevedono che l'azienda possa essere oggetto di proprietà  e di usufrutto. Di talchè, considerato che il possesso è definito dal Codice civile come il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività  corrispondente al diritto di proprietà  o altro diritto reale, esso deve essere considerato necessariamente ammissibile. Inoltre anche l'art. 670 c.p.c. prevede espressamente il possesso dell'azienda, ammettendo il sequestro delle aziende quando ne sia controversa la proprietà  o, appunto, il possesso. Pertanto, alla luce di tutte queste considerazioni, le Sezioni Unite concludono per l'ammissibilità  del possesso e dunque dell'usucapibilità  dell'azienda. In particolare, affermano che, ai fini della disciplina del possesso e dell'usucapione, l'azienda deve essere considerata come un bene distinto dai singoli beni che la compongono, suscettibile di essere unitariamente posseduta e quindi usucapita, in presenza, ovviamente, anche degli altri requisiti previsti dalla legge, soprattutto in ordine al decorso di tempo necessario. [1] Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 5087 del 5 marzo 2014.

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