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    23 luglio 2021

    Responsabilità solidale tra appaltatore,...

    Cassazione, sentenza n. 18289/2020.In tema di contratto di appalto, il vincolo di responsabilità solidale tra l’appaltatore, il progettista ed il direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all’art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    19 aprile 2017

    Vendita di un immobile senza certificato di...

    Cassazione civile, Sezione II, 30/01/2017, n. 2294   Cosa cambia per il cittadino. Il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l'obbligo di sostenere tutti gli oneri necessari al fine di ottenere il rilascio del certificato di abitabilità  ed ha altresì un preciso dovere di consegnare all'acquirente il certificato di abitabilità  stesso. In ragione di ciò, la violazione di tale obbligo può legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, sia quella di risarcimento del danno, sia l'eccezione di inadempimento. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes http://associazionesuperpartes.it/notai/ Il fatto. Con atto di citazione a comparire avanti il Tribunale di Palermo, gli acquirenti di un immobile ad uso abitativo convenivano in giudizio il venditore dello stesso chiedendone la condanna al pagamento della somma corrispondente alle spese necessarie per ottenere la concessione della licenza di abitabilità  dell'immobile da loro acquistato, in ragione del fatto che un anno dopo l'acquisto avevano constatato la presenza al piano terra di forte umidità  e di ciò ne avevano dato notizia al venditore, senza tuttavia avere alcun riscontro. A seguito dell'istruttoria svolta durante tale giudizio, veniva appurato che la risalita di acqua dal sottosuolo era dovuta ad una serie di difetti costruttivi e che tale situazione era ostativa al rilascio del certificato di abitabilità , se non previa realizzazione delle opere occorrenti per rendere l'appartamento conforme alle prescrizioni del regolamento locale di igiene. Il Tribunale di Palermo accoglieva la domanda, condannava il venditore al pagamento dell'importo richiesto e tale decisione veniva confermata dalla competente Corte d'Appello. Avverso tale ultima sentenza proponeva ricorso per Cassazione il soggetto venditore, ma la Suprema Corte ha rigettato tale gravame, confermando la sentenza d'appello. Le ragioni giuridiche. Al fine di comprendere l'istituto in esame, dev'essere ricordato che il certificato di agibilità  è il documento che attesta la sussistenza di determinati standards igienici e sanitari e di sicurezza, garantendo che in fase di costruzione sono state osservate le prescrizioni igienico-sanitarie stabilite dalle leggi vigenti al momento della costruzione o dell'intervento. Dev'essere inoltre premesso che la disciplina dell'agibilità  (o abitabilità ) degli edifici è contenuta nell'art. 24 del DPR 380/2001 (T.U. in materia edilizia) ed è stata recentemente modificata, in nome della semplificazione dei regimi amministrativi in materia edilizia dall'art. 3 del Dlgs 222/2016. Contrariamente alla formulazione originaria di tale norma “ secondo la quale il certificato di agibilità  veniva rilasciato dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale su domanda del soggetto titolare del permesso di costruire o di colui che aveva presentato la DIA/SCIA -, l'attuale regime prevede che la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità , risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità  dell'opera al progetto presentato e la sua agibilità  sono attestati mediante segnalazione certificata presentata dal soggetto titolare del permesso di costruire, o dal soggetto che ha presentato la segnalazione certificata di inizio di attività . In altre parole, si è passati da un regime in cui l'agibilità  veniva richiesta dal soggetto interessato e rilasciata dall'Ufficio comunale (ferma restando l'applicazione del silenzio assenso decorsi inutilmente 30 giorni dalla presentazione della documentazione necessaria al rilascio), a quello attuale in cui l'agibilità  viene certificata documentalmente (in particolare attraverso l'attestazione del direttore dei lavori o, qualora non nominato, di un professionista abilitato che assevera la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene e salubrità ) direttamente dal soggetto interessato. Orbene, ciò premesso, dev'essere precisato che la vicenda oggetto della sentenza qui in commento si fonda naturalmente sull'applicazione del vecchio regime dell'agibilità . Nello specifico, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dal venditore confermando la sentenza d'appello ed in particolare che il difetto del certificato di abitabilità , risolvendosi nella mancanza di un requisito giuridico essenziale, configura un'ipotesi di vendita di aliud pro alio, legittimante l'acquirente all'esercizio dell'azione risarcitoria. In ragione di ciò, prosegue la Corte, il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l'obbligo di consegnare all'acquirente il certificato di abitabilità  e la violazione di tale obbligo può pertanto legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, con conseguente restituzione di quanto versato, sia quella di risarcimento del danno. A tal proposito ed a scanso di equivoci dev'essere precisato che la Cassazione qualifica l'immobile privo di certificato di agibilità come incommerciabile, laddove tuttavia lincommerciabilità si deve riferire esclusivamente alla possibilità  di azionare il rimedio risolutorio e risarcitorio e non certo alla libera commerciabilità  dell'immobile. In particolare, precisa la Corte, l'inadempimento da parte del venditore all'obbligo di rilasciare il certificato non è escluso dalla circostanza che egli, al momento della stipula, abbia già  presentato una domanda di condono per sanare l'irregolarità  amministrativa dell'immobile; né rileva che l'immobile fosse già  utilizzato dai precedenti proprietari o inquilini a fini abitativi. Per completezza dev'essere altresì evidenziato che in altre circostanze la Cassazione ha avuto modo di precisare che queste stesse considerazioni valgono anche nel caso in cui venditore e acquirente abbiano firmato solo un contratto preliminare e non ancora l'atto di trasferimento della proprietà  vero e proprio. Anche in tale ipotesi, infatti, è sufficiente la mancanza di agibilità  per poter recedere dalla promessa di acquisto e non addivenire alla stipula del contratto definitivo[1]. Avv. Ambrogio Dal Bianco Per leggere gli altri articoli SuperPartes clicca qui: http://associazionesuperpartes.it/extra/blog/ [1] Per esempio, Cass. Civ., Sez. II, 08/02/2016, n. 2438: l'acquirente ha interesse a ottenere la proprietà  di un immobile che sia idoneo ad assolvere la funzione economico-sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all'acquisto. Di conseguenza, se il promittente venditore non consegna il certificato di agibilità , la stipula del definitivo può sempre essere rifiutata, anche se la mancata consegna dipende dall'inerzia del Comune al rilascio del documento. Infatti, l'obbligo di consegnare il certificato di agibilità grava ex lege sul venditore, in base all'art. 1477, comma 3, c.c. e a ciò consegue che il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità  o di agibilità e di conformità  alla concessione edilizia. Il venditore, dunque, ha l'obbligo di consegnare all'acquirente il certificato, richiedendolo e sostenendone le spese, e l'inadempimento di tale obbligo è di per sé foriero di danno emergente, in quanto costringe l'acquirente a provvedere in proprio. 

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    07 aprile 2017

    Provvedimento amministrativo illegittimo: come...

    Cosa cambia per il cittadino Nei rapporti tra cittadini e Pubblica Amministrazione può capitare che quest'ultima emani un provvedimento illegittimo che crei un danno al cittadino. Per questo, un tema che spesso si pone è quello di individuare i rimedi che un privato ha a disposizione a fronte di un provvedimento amministrativo illegittimo. Vediamo, dunque, quali sono i rimedi esperibili dal cittadino e i presupposti per ottenere tale risarcimento. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes http://associazionesuperpartes.it/notai/ Le ragioni giuridiche La questione può porsi relativamente a qualsiasi tipo di provvedimento amministrativo: si pensi ad esempio alla revoca di un permesso di costruire già  rilasciato; ovvero all'esclusione da un concorso pubblico, o ancora ad una sanzione sportiva (per esempio una sanzione disciplinare inflitta ad un atleta tesserato e che non gli consenta di partecipare ad eventi sportivi) e così via. Certo, a fronte di un provvedimento amministrativo ritenuto illegittimo, il privato potrà  ricorrere al TAR competente al fine di chiederne l'annullamento. Tuttavia, il mero annullamento del provvedimento spesso non è avvertito come sufficiente a ristorare il danno subito dall'emanazione di quel provvedimento. In ragione di ciò, il privato, contestualmente all'azione di annullamento, potrà  chiedere al TAR il risarcimento del danno subito, sulla base dell'art. 30 del Dlgs 104/2010, secondo il quale "può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività  amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria". Orbene, acclarata la possibilità  di chiedere il risarcimento del danno a seguito dell'annullamento di un provvedimento amministrativo riconosciuto illegittimo in sede giurisdizionale, il problema concerne l'individuazione dei presupposti per ottenere tale risarcimento e, soprattutto, quali siano gli oneri probatori in capo al privato. Sul punto dev'essere evidenziato che la giurisprudenza più recente del Consiglio di Stato[1] riconosce che, nel giudizio intentato da un privato nei confronti della Pubblica Amministrazione, al danneggiato da unprovvedimentoamministrativo illegittimonon è richiesto un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa dell'Amministrazione, potendo egli limitarsi ad evidenziare l'illegittimità  dell'atto. L'illegittimità  dell'atto, accertata in sede giurisdizionale, rappresenta dunque di per sè il presupposto sufficiente per il privato per poter richiedere il risarcimento del danno derivante dall'emanazione di quel medesimo provvedimento; e ciò al fine di cercare di ripianare quel "naturale squilibrio" che vi è tra privato e Pubblica Amministrazione. In questa logica, secondo i giudici di Palazzo Spada, spetterà  all'Amministrazione dimostrare, se del caso, di essere incorsa in un errore scusabile, che si verifica in presenza di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione della norma, ovvero nel caso di formulazione ambigua delle disposizioni da applicarsi, o di complessità  della situazione di fatto. Avv. Ambrogio Dal Bianco Per leggere gli altri articoli SuperPartes clicca qui:http://associazionesuperpartes.it/extra/blog/ [1] Consiglio di Stato, Sezione IV, 13/02/2017, n. 602.

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