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    25 febbraio 2022

    Decorrenza dell’obbligo di pagamento...

    Cassazione del 22 dicembre 2021 n. 41232. L’assegno di mantenimento a favore del coniuge fissato in sede di separazione consensuale in omologa di accordo che non ne preveda la decorrenza è dovuto, sia pure a condizione che l’omologa intervenga e non disponga diversamente, fin dal momento del deposito del ricorso per separazione e non solo dalla data di pronuncia dell’omologa. Ciò in virtù del principio secondo cui quanto è dovuto senza una data è dovuto immediatamente ed il tempo necessario a far valere un diritto in giudizio non può pregiudicarlo.Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata 

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    11 febbraio 2017

    Separazione, divorzio e nuova convivenza: profili...

    Molte sono oggi le coppie che decidono di instaurare un rapporto sentimentale stabile al di fuori del vincolo coniugale. Che il concetto tradizionale di famiglia, indissolubilmente legato al matrimonio, sia stato superato non solo da un punto di vista sociologico ma anche giuridico, lo dimostra da ultimo la legge Cirinnà  76/2016 che ha istituito le unioni civili tra persone delle stesso sesso e le convivenze di fatto. Tra i due istituti, quello che può destare maggiori perplessità  è il secondo, soprattutto quando i partner hanno alle spalle il fallimento di un matrimonio. Andiamo allora a chiarire come la nuova convivenza more uxorio si rapporta, da un punto di vista legale, con un precedente divorzio o, situazione ancor più delicata (non solo emotivamente!), con una separazione coniugale, ove i membri della coppia mantengono la qualifica giuridica di "coniuge". Prima mi separo, poi divorzio Nel nostro ordinamento, il matrimonio può sciogliersi o in seguito alla morte di uno dei coniugi, o con divorzio. Tra le cause di ammissibilità  del divorzio, quella più statisticamente e socialmente significativa è la separazione personale dei coniugi, la quale non comporta la cessazione degli effetti giuridici del vincolo coniugale, ma fa venir meno alcuni obblighi 'come quelli di fedeltà  e coabitazione' e scioglie la comunione legale dei beni (art 191 c.c.). La separazione può essere consensuale o giudiziale, ma in entrambi i casi è necessario il provvedimento del giudice (dal quale decorrono gli effetti della separazione), perché la separazione di fatto, cioè quella attuata liberamente e sulla base di un accordo informale tra i coniugi, non ha alcun valore giuridico. Nella separazione consensuale sono le parti a raggiungere un accordo sulle situazioni economico-patrimoniali e riguardo ai rapporti con i figli. Affinché le condizioni pattuite producano effetti, i coniugi devono tuttavia rivolgersi al tribunale il quale, fallito un previo tentativo di conciliazione, omologa l'accordo raggiunto, quando non in contrasto con l'interesse dei figli. Nella separazione giudiziale, non essendoci un accordo tra i coniugi, è il giudice che regola gli effetti della separazione. Quando uno dei coniugi non abbia un reddito proprio tale da fargli mantenere il precedente tenore di vita, ha il diritto a ricevere dall'altro un assegno periodico di mantenimento, il cui importo viene determinato in base al reddito del coniuge obbligato e lo stato di bisogno dell'altro. Come abbiamo detto prima, due coniugi separati sono ancora marito e moglie fino al divorzio, e godono pertanto dei diritti patrimoniali e successori previsti derivanti dal matrimonio. Se un membro della coppia muore, l'altro, in quanto erede legittimario, ha diritto ad una quota del patrimonio del defunto. Diversa è tuttavia la posizione del coniuge cui sia stata addebitata la responsabilità  della separazione, al quale non spettano né i diritti successori, né quello al mantenimento, salvo il diritto di ricevere periodicamente una somma nei limiti di quanto sufficiente al sostentamento (il cd. diritto agli alimenti). Se il coniuge cui sia stata addebitata la separazione ha diritto agli alimenti, quando l'altro decede, può soltanto ricevere un assegno vitalizio commisurato al valore dei beni ereditari, al numero degli eredi legittimari e comunque non superiore alla prestazione goduta quando il coniuge obbligato era in vita. Per poter richiedere il divorzio e per l'effetto, lo scioglimento del vincolo coniugale, i coniugi devono aspettare che decorra un termine minimo previsto per legge, che è di sei mesi in caso di separazione consensuale e un anno in caso di separazione giudiziale (i termini sono stati abbreviati con la modifica del 2015). Può succedere così che, durante l'attesa (bisogna anche calcolare le lungaggini della procedura giudiziale), in cui oramai l'unione è solo legale e non sentimentale, si incontrino altre persone con le quali si voglia iniziare una convivenza. Occorre perciò sapere quali sono i limiti che la legge prevede per questo rapporto e le eventuali accortezze da adottare. Sono separato ma convivo con un'altra persona. Bisogna sempre tener presente la premessa di fondo: se si è separati, eccetto quegli obblighi che vengono meno, si è ancora coniugi difronte alla legge, anche se si convive con un'altra persona. Con tutte le conseguenze dal punto di vista successorio e patrimoniale. Facciamo un esempio. Tizio si separa da sua moglie Caia e va a convivere con Sempronia; non solo Tizio non può sposarsi fin quando non divorzia, ma se muore, la sua eredità  andrà  per legge a Caia e non alla convivente Sempronia. Cosa può fare allora Tizio per tutelare quest'ultima? Potrà  effettuare una donazione o disporre testamento a favore della sua nuova partner, tenendo tuttavia presente le quote che spettano ai legittimari, tra cui moglie e figli. Infatti, se gli atti dispositivi vanno ad corrodere la quota dei legittimi eredi, questi ultimi possono agire in riduzione contro il donatario o il beneficiario del testamento, per reintegrarla sino a quanto di loro diritto. Se il donatario (in questo caso la nuova partner), ha alienato a terzi soggetti quanto ricevuto, i legittimari possono ottenere la restituzione entro venti anni dalla trascrizione della donazione. Per interrompere il decorso di detto termine, e agire per la restituzione anche successivamente, è consigliabile ai legittimari di trascrivere un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione. La nuova coppia di conviventi non può nemmeno sottoscrivere un contratto di convivenza , se anche solo uno dei due è separato ma non divorziato. Tra le novità  introdotte dalla legge 716/2016 vi è infatti anche quella per cui i conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali, relativi alla loro vita in comune, con la sottoscrizione di un contratto di convivenza; ma l'art 57 della stessa, prevede appunto la nullità  insanibile dei contratti di convivenza in presenza di un vincolo matrimoniale. Se ci faccio anche dei figli Nel nostro ordinamento giuridico la posizione dei figli nati dentro o fuori dal matrimonio ò in tutto e per tutto equiparata: qualsiasi figlio, non importa quale sia il legame che unisce i suoi genitori, ha diritti patrimoniali e successori sul patrimonio di questi, niente di più e niente di meno da un eventuale fratello nato dal precedente matrimonio di un suo genitore. Tutti i figli godono dello status di erede legittimario e ricevono pertanto una pari quota del patrimonio del genitore comune. Ma la mia nuova convivenza di fatto fa venir meno il diritto all'assegno di mantenimento Diverse recenti pronunce della Corte di Cassazione, hanno posto fine alla "furbetta" pratica di non risposarsi per non perdere il diritto al mantenimento dell'ex coniuge: anche una nuova stabile convivenza fa venir meno il diritto al mantenimento. Si ha una famiglia di fatto quando vi sia un nucleo domestico stabile e continuo, portatore di valori di stretta solidarietà  anche di carattere economico, di arricchimento e sviluppo della personalità  di ogni suo componente. Qualora quindi il coniuge divorziato, a seguito di una scelta esistenziale libera e consapevole, a volte rafforzata dalla nascita di figli, decida di dar vita ad una nuova famiglia con persona diversa dall'ex coniuge, viene rescissa ogni connessione con il tenore di vita caratterizzante la pregressa fase di convivenza matrimoniale, venendo quindi definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità  dell'assegno divorzile a carico dell'altro coniuge. Il diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Se anche la nuova unione dell'ex coniuge fallisce, egli non può tornare a pretendere l'assegno di mantenimento dal primo partner.

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    05 novembre 2016

    Perde le agevolazioni "prima casa" il coniuge che...

    La Corte di Cassazione ha recentemente affrontato più volte la questione, esprimendosi in senso favorevole al contribuente. In particolare ha affermato il principio per cui restano ferme le agevolazioni fiscali, ottenute in sede di acquisto dell'abitazione, anche nel caso di trasferimento dell'immobile al coniuge, in sede di separazione, prima dei 5 anni previsti dalla legge per il trasferimento e senza riacquisto di altro immobile da adibire a prima casa. Come è noto, infatti, il legislatore prevede una serie di agevolazioni fiscali quando oggetto dell'atto di compravendita sia un immobile da destinare a prima casa, subordinando però tali benefici a una serie di presupposti e condizioni, il cui venir meno comporta la decadenza dai benefici e l'obbligo di pagare una sovrattassa pari al 30 per cento delle imposte stesse. Tra le ipotesi di decadenza dai benefici vi è il trasferimento dell'immobile prima che siano decorsi 5 anni dall'acquisto, a meno che il soggetto non provveda entro un anno a riacquistare altro immobile da adibire a prima casa. Tuttavia, da un lato, la Corte di Cassazione[1] ha evidenziato come l'articolo 1 della nota II bis della Tariffa, parte prima, n. 4, allegata al D.P.R. n. 131/1986 preveda il pagamento delle imposte non pagate e della sovrattassa solo nell'ipotesi di trasferimento "per atto a titolo oneroso o gratuito", ipotesi in cui non rientra il trasferimento dell'immobile a seguito di patto di separazione. Tale trasferimento risulta, infatti, da un lato, privo di corrispettivo e dall'altro non qualificabile come donazione. Da ciò deriva la non applicabilità  della disciplina sanzionatoria prevista dalla Tariffa del D.P.R. n. 131/1986. D'altronde, sottolinea la Corte, la ratio della normativa è quella di impedire la speculazione sugli immobili comprati con le agevolazioni prima casa e immediatamente rivenduti e tale ratio non appare riscontrabile nei patti di separazione dove, al contrario, la finalità  è quella di definizione degli interessi, anche patrimoniali, dei coniugi alla luce della crisi matrimoniale. Dall'altro lato la Corte di Cassazione[2] è nuovamente tornata sul tema, sottolineando la non condivisibilità  dell'orientamento per cui all'art. 19 della legge n. 74/1987 non possa essere sempre riconosciuto, in tali ipotesi, l'effetto di impedimento della decadenza dalle agevolazioni previste al n. 4 della nota II bis, della Tariffa parte prima allegata al D.P.R. 131/1986, ovvero dalle agevolazioni "prima casa". Ricorrerebbe, secondo l'orientamento negazionista, l'esenzione dell'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa ex art. 19 solo per gli atti e per le convenzioni poste in essere dai coniugi sotto il controllo del giudice e ne rimarrebbero, al contrario, esclusi gli atti di trasferimento solamente occasionati dalla separazione. Ciò in quanto, rileva la Corte, anche gli atti di trasferimento, mobiliari e immobiliari, se volti a definire in modo stabile la crisi, pur non essendo atti strettamente necessari per la separazione o per il divorzio, rientrano comunque negli "atti relativi al procedimento di separazione o divorzio" per cui la legge prevede l'esenzione, riconfermando in tal modo anche per essi l'effetto di impedire la decadenza delle agevolazioni già  fruite in sede di acquisto dell'immobile. Questo, rileva la Corte, è oggi ancor più vero ove si considerino le modifiche legislative in tema di separazione coniugale, in tema di procedimento di negoziazione assistita da avvocati, nonchè in ordine alla possibilità  di concludere innanzi al Sindaco accordi sostitutivi dei provvedimenti giudiziali. [1] Corte di Cassazione, sentenza n. 5356 del 17 febbraio 2016. [2] Corte di Cassazione, sentenza n. 13340 del 28 giugno 2016.

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