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    07 maggio 2021

    Revoca assegno divorzile

    Cassazione, ordinanza 16 ottobre 2020 n. 22604. Va revocato l’assegno divorzile qualora il coniuge creditore abbia una relazione con un nuovo compagno basata sulla frequentazione quotidiana e su periodi di coabitazione effettiva e di reciproca assistenza morale e materiale. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    30 giugno 2017

    Assegno divorzile: ne ho diritto?

    Corte di Cassazione, Sezione VI, ordinanza n. 12879 del 22 maggio 2017 Cosa cambia per il cittadino La Corte di Cassazione ha recentemente ribadito il principio per cui l'instaurazione di una convivenza stabile fa venir meno il diritto all'assegno di divorzio, anche nel caso in cui il nuovo compagno sia stato dichiarato fallito e, dunque, difficilmente potrà  fornire alla propria compagna assistenza materiale. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes http://associazionesuperpartes.it/notai/ Il fatto La vicenda riguardava la pretesa da parte di Tizia di percepire l'assegno divorzile anche a fronte di una nuova convivenza con altra persona, la quale tuttavia versava nelle condizioni di non poterla assistere economicamente, a causa di alcune vicissitudini professionali che lo avevano colpito (fallimento). L'ex marito si opponeva alla richiesta, sostenendo che, secondo una corretta e aggiornata interpretazione dell'art. 5 della L. n. 898 del 1970, l'instaurazione di una convivenza more uxorio elida ogni possibile connessione con il modello di vita precedente e faccia venir meno i presupposti per il riconoscimento dell'assegno divorzile. Le ragioni giuridiche La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso, condividendo le ragioni sostenute dall'ex marito. Sul punto, infatti, una costante giurisprudenza di legittimità  ritiene che, con l'instaurazione di una convivenza stabile e caratterizzata dalla relazione affettiva fra i conviventi, venga meno l'obbligazione di cui all'art. 5 della Legge sul divorzio, per effetto della cessazione della solidarietà  fra ex coniugi. L'art. 5 prevede, infatti, l'obbligo per il coniuge di versare a favore dell'altro un assegno divorzile, tuttavia tale obbligo di corresponsione cessa, per prevalente orientamento giurisprudenziale, nelle ipotesi in cui il coniuge abbia una convivenza more uxorio, dal momento che verrebbe meno in tale caso, secondo la Corte, quella "solidarietà  che caratterizza i rapporti fra gli ex coniugi dopo il divorzio". In altre parole, afferma la Corte, l'ex coniuge che decida di vivere more uxorio con altra persona perde ogni diritto a ricevere l'assegno divorzile, e ciò anche nel caso in cui il nuovo compagno non sia in grado di assistere economicamente la nuova compagna. Per leggere gli altri articoli SuperPartes clicca qui: http://associazionesuperpartes.it/extra/blog/

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    11 maggio 2017

    Assegno divorzile: addio al parametro del tenore...

    Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 10 maggio 2017, n. 11504   Cosa cambia per il cittadino Con la sentenza in commento, la Cassazione ha ritenuto che il parametro del "tenore di vita matrimoniale", non sia più condizionante e decisivo sul giudizio del riconoscimento del diritto all'assegno divorzile e sulla sua quantificazione. Il collegio ha sostenuto che, dopo 27 anni[1], alla luce del cambiamento dei rapporti familiari e della concezione del matrimonio, l'indirizzo giurisprudenziale non sia più attuale. Il giudice del divorzio dovrà  invece utilizzare il criterio della autoresponsabilità  economica" di ciascuno degli ex coniugi quali "persone singole", verificando se, l'ex coniuge richiedente l'assegno di divorzio, si trovi in mancanza di mezzi adeguati o, comunque, non abbia la possibilità  di procurarseli per ragioni oggettive, con esclusivo riferimento all'indipendenza o autosufficienza economica dello stesso. L'indipendenza economica sarà  desunta da una serie di indici come il possesso di redditi di qualsiasi specie e/o beni patrimoniali mobiliari o immobiliari, la capacità  effettiva di trovare un lavoro, la disponibilità  di un'abitazione ecc. Peraltro, spetterà  al richiedente provare di non essere autosufficiente, salvo il diritto all'eccezione ed alla prova contraria dell'altro ex coniuge. Come giustamente osserva il dott. Nicola Forte, il CTU (consulenza tecnica d'ufficio), dovrà  prestare molta attenzione nella ricostruzione dell'effettiva consistenza patrimoniale e reddituale dell'ex coniuge richiedente. Questi potrebbe porre in essere atti simulatori, come ad esempio l'assunzione di un debito o una riduzione di compensi dovuti alla carica di amministratore nella società  di famiglia, allo scopo di vedersi accordare il diritto all'assegno. Soltanto all'esito positivo della verifica circa l'esistenza di questi presupposti, il giudice, sempre alla stregua dei criteri anzidetti, dovrà  procedere al quantum debeatur, determinando una somma che permetta all'ex coniuge di vivere dignitosamente, senza considerare il tenore di vita di cui godeva durante il matrimonio. E' qui la linea di confine tra solidarietà  economica ed illegittimo arricchimento. Per approfondimenti chiedi ai Notai SuperPartes http://associazionesuperpartes.it/notai/ Il fatto La ex moglie di un ex ministro ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell'art. 5, comma 6, legge n. 898/1970, per avere la Corte milanese negato il suo diritto ad un assegno divorzile che le permettesse di conservare l'alto tenore di vita matrimoniale. Ragioni giuridiche La Suprema Corte, nel salutare questo criterio vetusto, argomenta che la formazione della famiglia nasce da una scelta libera e consapevole, che si caratterizza per l'assunzione piena del rischio di una eventuale cessazione del rapporto che consiste nell'esonero definitivo da ogni obbligo, salvo ovviamente, in presenza di figli, l'esercizio della responsabilità  genitoriale, con i relativi doveri e diritti, da parte di entrambi gli ex coniugi. In poche parole: troppo comodo ritornare single sotto ogni aspetto, tranne che per il tenore di vita economico. Peraltro, osserva la Cassazione, l'effetto di trascinare a tempo indeterminato il gli effetti economico-patrimoniali del vincolo coniugale, possono intralciare la serenità  di un nuovo rapporto familiare. Che non ci saranno più litigi come non mi va bene che fai fare ancora la vita da signore/a al tuo/a ex marito/moglie!"? Per leggere gli altri articoli SuperPartes clicca qui: http://associazionesuperpartes.it/extra/blog/ Dott. ssa Eleonora Baglivo [1] Sent. SSUU nn. 11490 e 11492 del 29 novembre 1990

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    11 febbraio 2017

    Separazione, divorzio e nuova convivenza: profili...

    Molte sono oggi le coppie che decidono di instaurare un rapporto sentimentale stabile al di fuori del vincolo coniugale. Che il concetto tradizionale di famiglia, indissolubilmente legato al matrimonio, sia stato superato non solo da un punto di vista sociologico ma anche giuridico, lo dimostra da ultimo la legge Cirinnà  76/2016 che ha istituito le unioni civili tra persone delle stesso sesso e le convivenze di fatto. Tra i due istituti, quello che può destare maggiori perplessità  è il secondo, soprattutto quando i partner hanno alle spalle il fallimento di un matrimonio. Andiamo allora a chiarire come la nuova convivenza more uxorio si rapporta, da un punto di vista legale, con un precedente divorzio o, situazione ancor più delicata (non solo emotivamente!), con una separazione coniugale, ove i membri della coppia mantengono la qualifica giuridica di "coniuge". Prima mi separo, poi divorzio Nel nostro ordinamento, il matrimonio può sciogliersi o in seguito alla morte di uno dei coniugi, o con divorzio. Tra le cause di ammissibilità  del divorzio, quella più statisticamente e socialmente significativa è la separazione personale dei coniugi, la quale non comporta la cessazione degli effetti giuridici del vincolo coniugale, ma fa venir meno alcuni obblighi 'come quelli di fedeltà  e coabitazione' e scioglie la comunione legale dei beni (art 191 c.c.). La separazione può essere consensuale o giudiziale, ma in entrambi i casi è necessario il provvedimento del giudice (dal quale decorrono gli effetti della separazione), perché la separazione di fatto, cioè quella attuata liberamente e sulla base di un accordo informale tra i coniugi, non ha alcun valore giuridico. Nella separazione consensuale sono le parti a raggiungere un accordo sulle situazioni economico-patrimoniali e riguardo ai rapporti con i figli. Affinché le condizioni pattuite producano effetti, i coniugi devono tuttavia rivolgersi al tribunale il quale, fallito un previo tentativo di conciliazione, omologa l'accordo raggiunto, quando non in contrasto con l'interesse dei figli. Nella separazione giudiziale, non essendoci un accordo tra i coniugi, è il giudice che regola gli effetti della separazione. Quando uno dei coniugi non abbia un reddito proprio tale da fargli mantenere il precedente tenore di vita, ha il diritto a ricevere dall'altro un assegno periodico di mantenimento, il cui importo viene determinato in base al reddito del coniuge obbligato e lo stato di bisogno dell'altro. Come abbiamo detto prima, due coniugi separati sono ancora marito e moglie fino al divorzio, e godono pertanto dei diritti patrimoniali e successori previsti derivanti dal matrimonio. Se un membro della coppia muore, l'altro, in quanto erede legittimario, ha diritto ad una quota del patrimonio del defunto. Diversa è tuttavia la posizione del coniuge cui sia stata addebitata la responsabilità  della separazione, al quale non spettano né i diritti successori, né quello al mantenimento, salvo il diritto di ricevere periodicamente una somma nei limiti di quanto sufficiente al sostentamento (il cd. diritto agli alimenti). Se il coniuge cui sia stata addebitata la separazione ha diritto agli alimenti, quando l'altro decede, può soltanto ricevere un assegno vitalizio commisurato al valore dei beni ereditari, al numero degli eredi legittimari e comunque non superiore alla prestazione goduta quando il coniuge obbligato era in vita. Per poter richiedere il divorzio e per l'effetto, lo scioglimento del vincolo coniugale, i coniugi devono aspettare che decorra un termine minimo previsto per legge, che è di sei mesi in caso di separazione consensuale e un anno in caso di separazione giudiziale (i termini sono stati abbreviati con la modifica del 2015). Può succedere così che, durante l'attesa (bisogna anche calcolare le lungaggini della procedura giudiziale), in cui oramai l'unione è solo legale e non sentimentale, si incontrino altre persone con le quali si voglia iniziare una convivenza. Occorre perciò sapere quali sono i limiti che la legge prevede per questo rapporto e le eventuali accortezze da adottare. Sono separato ma convivo con un'altra persona. Bisogna sempre tener presente la premessa di fondo: se si è separati, eccetto quegli obblighi che vengono meno, si è ancora coniugi difronte alla legge, anche se si convive con un'altra persona. Con tutte le conseguenze dal punto di vista successorio e patrimoniale. Facciamo un esempio. Tizio si separa da sua moglie Caia e va a convivere con Sempronia; non solo Tizio non può sposarsi fin quando non divorzia, ma se muore, la sua eredità  andrà  per legge a Caia e non alla convivente Sempronia. Cosa può fare allora Tizio per tutelare quest'ultima? Potrà  effettuare una donazione o disporre testamento a favore della sua nuova partner, tenendo tuttavia presente le quote che spettano ai legittimari, tra cui moglie e figli. Infatti, se gli atti dispositivi vanno ad corrodere la quota dei legittimi eredi, questi ultimi possono agire in riduzione contro il donatario o il beneficiario del testamento, per reintegrarla sino a quanto di loro diritto. Se il donatario (in questo caso la nuova partner), ha alienato a terzi soggetti quanto ricevuto, i legittimari possono ottenere la restituzione entro venti anni dalla trascrizione della donazione. Per interrompere il decorso di detto termine, e agire per la restituzione anche successivamente, è consigliabile ai legittimari di trascrivere un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione. La nuova coppia di conviventi non può nemmeno sottoscrivere un contratto di convivenza , se anche solo uno dei due è separato ma non divorziato. Tra le novità  introdotte dalla legge 716/2016 vi è infatti anche quella per cui i conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali, relativi alla loro vita in comune, con la sottoscrizione di un contratto di convivenza; ma l'art 57 della stessa, prevede appunto la nullità  insanibile dei contratti di convivenza in presenza di un vincolo matrimoniale. Se ci faccio anche dei figli Nel nostro ordinamento giuridico la posizione dei figli nati dentro o fuori dal matrimonio ò in tutto e per tutto equiparata: qualsiasi figlio, non importa quale sia il legame che unisce i suoi genitori, ha diritti patrimoniali e successori sul patrimonio di questi, niente di più e niente di meno da un eventuale fratello nato dal precedente matrimonio di un suo genitore. Tutti i figli godono dello status di erede legittimario e ricevono pertanto una pari quota del patrimonio del genitore comune. Ma la mia nuova convivenza di fatto fa venir meno il diritto all'assegno di mantenimento Diverse recenti pronunce della Corte di Cassazione, hanno posto fine alla "furbetta" pratica di non risposarsi per non perdere il diritto al mantenimento dell'ex coniuge: anche una nuova stabile convivenza fa venir meno il diritto al mantenimento. Si ha una famiglia di fatto quando vi sia un nucleo domestico stabile e continuo, portatore di valori di stretta solidarietà  anche di carattere economico, di arricchimento e sviluppo della personalità  di ogni suo componente. Qualora quindi il coniuge divorziato, a seguito di una scelta esistenziale libera e consapevole, a volte rafforzata dalla nascita di figli, decida di dar vita ad una nuova famiglia con persona diversa dall'ex coniuge, viene rescissa ogni connessione con il tenore di vita caratterizzante la pregressa fase di convivenza matrimoniale, venendo quindi definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità  dell'assegno divorzile a carico dell'altro coniuge. Il diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Se anche la nuova unione dell'ex coniuge fallisce, egli non può tornare a pretendere l'assegno di mantenimento dal primo partner.

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    08 febbraio 2017

    Gli accordi dei coniugi in vista del futuro ed...

    Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza del 30 gennaio 2017 n. 2224 Cosa cambia per il cittadino Nonostante qualche parziale apertura vi fosse stata in passato, la Corte di Cassazione ha fatto marcia indietro, tornando ad affermare nuovamente che gli accordi dei coniugi, in sede di separazione, volti a determinare i reciproci rapporti giuridico patrimoniali in vista di un futuro ed eventuale divorzio, sono nulli per illiceità  della causa. In realtà  l'orientamento di dottrina e giurisprudenza favorevole ad una maggiore autonomia delle parti anche in sede di separazione e divorzio è da preferire, purchè la separazione o il divorzio non siano la causa dell'accordo prematrimoniale ma solo un evento condizionante esterno. L'ordinamento italiano fa un progresso di civiltà  se riconosce maggiore spazio all'autonomia dei coniugi, liberandoli dagli eccessi di un certa "tutela " giudiziaria, che ne comprime gli spazi di libertà . Maggiore libertà  per avere un ordinamento più moderno ed attrattivo. Per approfondimenti chiedi ai Notai SuperParteshttp://associazionesuperpartes.it/notai/ Il fatto. La questione attiene all'ipotesi in cui i coniugi stipulino accordi, circa il loro regime giuridico patrimoniale, in vista di un eventuale e futuro divorzio. Le ragioni giuridiche. Ai sensi dell'art. 5 della Legge n. 888 del 1970, l'accertamento del diritto all'assegno divorzile deve essere effettuato verificando l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati al tenore di vita avuto durante il matrimonio. La liquidazione in concreto dell'assegno va, poi, compiuta tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del contributo personale e patrimoniale dato da ciascuno, nonchè del loro reddito, il tutto anche in relazione alla durata del matrimonio. Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione ha sottolineato come gli accordi preventivi con i quali i coniugi fissino, in sede di separazione, il regime giuridico patrimoniale, in vista di un futuro ed eventuale divorzio, sono invalidi per illiceità  della causa. Questo perchè una siffatta tipologia di accordi risulterebbe violativa del principio fondamentale di radicale indisponibilità  dei diritti in materia matrimoniale, espresso dall'art. 160 c.c.. Questo non solo quando gli accordi limitino o escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario per soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente dette esigenze, in base alla considerazione per cui una preventiva pattuizione, "specie se allettante e condizionata alla non opposizione al divorzio ("¦) potrebbe determinare il consenso al divorzio"[1]. La Corte di Cassazione ha ribadito, dunque, la natura assistenziale dell'assegno di divorzio, previsto a tutela del coniuge più debole, da cui deriverebbe, come conseguenza, l'indisponibilità  del diritto a richiederlo. Questo perchè la corresponsione dell'assegno divorzile può avvenire anche in un'unica soluzione, ove ritenuta equa dal tribunale, senza che si possa, in tal caso, proporre alcuna successiva domanda a contenuto economico, ma tale regola non è applicabile al di fuori del giudizio di divorzio, con la conseguenza che gli accordi di separazione, dovendo essere interpretati "secundum ius", non possono implicare in ogni caso rinuncia all'assegno di divorzio. Per leggere gli altri articoli SuperPartes clicca qui:http://associazionesuperpartes.it/extra/blog/ Notaio Paolo Broccoli [1] Corte di Cassazione, sentenza n. 1810 del 18 febbraio 2000.

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