• Hai bisogno di aiuto? Contattaci

  • In evidenza

    21 marzo 2024

    La rinuncia abdicativa

    Molto spesso capita di volersi disfare di un oggetto che non si utilizza più o che semplicemente ha esaurito la sua funzionalità. La questione non sembra porre problemi in relazione a oggetti di modesto valore o, più in generale, ai beni mobili.Ma come procedere se ci si vuole liberare di una casa, di un terreno o di un qualsiasi bene immobile? È proprio in questo contesto che assume rilievo la rinuncia abdicativa, per tale intendendosi l’atto unilaterale non recettizio (efficace, cioè, a prescindere da una sua comunicazione al terzo beneficiario) attraverso il quale si dismette formalmente la proprietà di un bene, senza necessità di conoscenza o di accettazione da parte di altri soggetti. La rinuncia abdicativa si differenzia, dunque, dalla rinuncia traslativa, in cui alla dismissione del diritto del rinunciante fa da contraltare una controprestazione, un costo, un corrispettivo, tipologia di rinuncia, quest’ultima, che deve essere comunicata a colui nei confronti del quale si verifica l’arricchimento, dovendo quest’ultimo accettare la devoluzione fatta a suo favore oppure rinunciare. Ma perché si dovrebbe voler rinunciare alla proprietà di un immobile? Le ragioni possono essere varie. Innanzitutto, non è sempre certo che dalla vendita si possa ricavare una discreta somma, esistendo beni che non hanno praticamente valore: si pensi, ad esempio, ad una casa completamente distrutta o ad un terreno non edificabile né coltivabile. In secondo luogo, costi, tasse e responsabilità, anche civile, possono essere di gran lunga superiori rispetto al beneficio che si trae dalla proprietà del bene. Chi diventa, quindi, proprietario? Pur non essendoci una specifica norma che disciplina la rinuncia abdicativa, pur tuttavia il Codice civile prevede che i beni immobili che non sono di proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato. A seguito della rinuncia abdicativa, quindi, lo Stato diventa immediatamente ed automaticamente titolare del diritto di proprietà sull’immobile. La rinuncia abdicativa può essere fatta solamente per iscritto, più precisamente con atto pubblico o scrittura privata, sotto pena di nullità e deve essere trascritta nei registri pubblici immobiliari. Di regola, non andrebbe notificata poiché, come detto, si tratta di un atto non recettizio. Tuttavia, si sostiene essere opportuna la conoscenza di tale atto con notifica al competente ufficio dell’Agenzia del Demanio al fine di informare la Pubblica Amministrazione dell’acquisizione dell’immobile a favore dello Stato in modo da consentire a quest’ultima di adottare tutte le iniziative ritenute opportune, anche a tutela della pubblica incolumità. Dal momento che la rinuncia abdicativa costituisce un negozio giuridico atipico (non disciplinato, cioè, espressamente dalla legge), si ritiene ammissibile solamente ove essa persegua interessi meritevoli di tutela. La rinuncia alla proprietà è configurabile anche quando si tratta di rinunciare a una quota di comproprietà. Nell’ipotesi di comproprietà, il diritto di ciascuno – che va inteso come diritto “sul tutto” – trova una limitazione nel concorrente diritto degli altri comproprietari. Per tale ragione, con la rinuncia alla quota da parte di uno dei comproprietari, il diritto degli altri si espande: in altri termini, il venir meno di una delle partecipazioni tramite la dichiarazione rinunciativa comporta una rideterminazione pro quota dell’entità della partecipazione degli altri comproprietari, i quali vedranno ipso iure accrescere in proporzione le loro quote in forza del principio di elasticità del diritto di proprietà. La facoltà di rinuncia è esercitabile anche in relazione ai diritti reali minori e, in particolare, ai diritti di godimento: essi, in generale, comportano una limitazione al diritto di proprietà, per cui la rinuncia da parte del titolare del diritto di godimento determina la ri-espansione di essa in capo al proprietario. È dunque possibile rinunciare al diritto di usufrutto (e la conseguenza indiretta è la ri-espansione del diritto del nudo proprietario, il quale ritorna titolare della piena proprietà), al diritto di superficie (a favore del proprietario del suolo), al diritto di servitù (che si estingue, con conseguente riacquisto della dimensione originaria del diritto di proprietà). Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Foto di ddzphoto da Pixabay © Riproduzione riservata

    Scopri di più
  • News

    11 gennaio 2024

    Estensione della proprietà condominiale

    Cassazione, ordinanza 4 ottobre 2023, n. 27996, sez. II civile. In tema di condominio negli edifici, in base all’art. 1117 c.c., l’estensione della proprietà condominiale ad un bene separato e autonomo rispetto alle restanti unità facenti parte dello stesso edificio o comprensorio, può essere giustificata soltanto in ragione di un titolo idoneo a farlo ricomprendere nella proprietà del condominio medesimo, qualificando espressamente tale bene come ad esso appartenente. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Foto di Sasin Tipchai da Pixabay © Riproduzione riservata

    Scopri di più
  • News

    03 dicembre 2020

    La tutela del proprietario che subisce la...

    Cassazione, ordinanza 2 settembre 2020 n. 18220. In tema di violazione della normativa sulle distanze tra costruzioni il danno è in re ipsa, perché l’azione risarcitoria è volta a porre rimedio all’imposizione di una servitù di fatto e alla conseguente diminuzione di valore del fondo subita dal proprietario in conseguenza dell’edificazione illegittima del vicino, per il periodo di tempo anteriore all’eliminazione dell’abuso. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

    Scopri di più
  • News

    15 ottobre 2020

    Spese per il balcone

    Cassazione, ordinanza del 12 marzo 2020 n. 7042. In tema di condominio negli edifici, i balconi “aggettanti” (cioè sporgenti verso l’esterno) appartengono in via esclusiva al proprietario della singola unità abitativa, dovendosi considerare beni comuni a tutti soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole. A ciò consegue che le spese relative alla manutenzione dei balconi restano a carico del solo proprietario dell’appartamento e non possono essere ripartite tra tutti i condomini. L’assemblea condominiale, pertanto, non può prendere decisioni nell’ambito dei beni di loro proprietà. È, dunque, nulla la deliberazione assembleare che disponga in ordine al rifacimento della relativa pavimentazione dei balconi di proprietà esclusiva degli appartamenti. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

    Scopri di più
  • News

    12 giugno 2017

    Negoziazione assistita separazione coniugi: serve...

    Cosa cambia per il cittadino. La convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte può essere conclusa tra i coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all'articolo 3, primo comma, numero 2), lettera b), della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Gli accordi raggiunti, in tale sede, dai coniugi, possono prevedere anche il trasferimento di un bene immobile. Quando ciò accade, però, la firma dei coniugi deve essere autenticata dal notaio al fine di poter trascrivere quello che è un vero e proprio trasferimento immobiliare a tutti gli effetti. Sul punto si era recentemente aperta una diatriba a seguito della sentenza del Tribunale di Pordenone che aveva ammesso la possibilità  che fossero gli stessi avvocati, che avevano assistito alla negoziazione dei coniugi per la separazione, ad autenticare le sottoscrizioni. Tale decisione, che lascia sorpresi, è stata, però, smentita dalla Corte di Appello di Trieste, la quale ha ricondotto tutto a sistema, ribadendo come il notaio sia l'unico soggetto deputato alle autenticazione nel caso di negozi aventi ad oggetto il trasferimento di diritti immobiliari. D'altronde la tutela e la garanzia dei trasferimenti immobiliari sono esigenze quanto mai avvertite nel nostro ordinamento e come tali richiedono l'intervento di un pubblico ufficiale a tutela della certezza dei traffici e della corretta tenuta dei registri pubblici, anch'essi fondamentali al fine di garantire sufficiente sicurezza per tutti i cittadini. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes http://associazionesuperpartes.it/notai/ Il fatto Tizio e Caia, in sede di separazione, si erano accordati mediante convenzione di negoziazione assistita, tra le altre cose, anche per il trasferimento di un immobile. Gli avvocati, che avevano assistito i coniugi, avevano poi proceduto all'autenticazione delle firme e dunque richiesto alla Conservatoria dei Registri immobiliari la trascrizione dell'accordo. A seguito del rifiuto dell'ufficio, che evidenziava la necessità  dell'autenticazione da parte di un notaio, veniva proposto ricorso al Tribunale di Pordenone, il quale, in accoglimento dell'istanza, ordinava alla Conservatoria di procedere alla trascrizione. La sentenza veniva immediatamente impugnata dall'Avvocatura di Stato presso la Corte di Appello di Trieste. Le ragioni giuridiche La Corte di Appello di Trieste ha confermato quella che è l'interpretazione dell'attuale sistema normativo e che, prima di questo isolato precedente del Tribunale di Pordenone, non era mai stato oggetto di contrasti interpretativi. Secondo la legge italiana, il notaio è l'unico soggetto abilitato dall'ordinamento ad autenticare le firme nel caso di accordi tra le parti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali su beni immobili, anche quando il trasferimento del bene immobile sia occasionato da una negoziazione assistita in sede di separazione coniugale. L'art. 5 co. 3 del D.L. n. 132/2014 prevede, infatti, l'autenticazione delle sottoscrizioni da parte di un pubblico ufficiale autorizzato per tutti gli atti soggetti a trascrizione e, quindi, anche per gli atti conclusi in sede di negoziazione assistita "familiare", ai sensi del successivo art. 6. In tale caso non appaiono, infatti, sufficienti i poteri di certificazione riconosciuti agli avvocati, che di per loro non sono idonei a sopperire a quelli diversi, di autenticazione, riconosciuti ai notai. Ricordiamo, infatti, che l'art. 2657 c.c. prevede che la trascrizione non possa essere effettuata se non in forza di sentenza, atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. Risponde, infatti, a un principio di ordine pubblico il fatto che vi sia un pubblico ufficiale ad autenticare un trasferimento avente ad oggetto un bene immobile, dal momento che il nostro ordinamento riconosce tutela primaria all'esigenza di garantire certezza e sicurezza nel traffico dei diritti reali. Per leggere gli altri articoli SuperPartes clicca qui: http://associazionesuperpartes.it/extra/blog/

    Scopri di più
  • News

    02 marzo 2017

    La nullità  della donazione di beni altrui è...

    Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza n. 144 del 5 gennaio 2017 Cosa cambia per il cittadino La donazione dispositiva di un bene altrui, ancorchè non espressamente disciplinata, è viziata da nullità  rilevabile d'ufficio, alla luce della complessiva disciplina dell'istituto della donazione e, in particolare, dell'articolo 771 cod. civ. In altri termini, l'inesistenza dell'originaria proprietà  del donante, causa la nullità  della donazione, la quale, può essere rilevata dal giudice d'ufficio, ossia senza la necessità  che sia oggetto specifico di domanda o eccezione delle parti. Si pensi ai casi in cui una madre doni al proprio figlio una quota di eredità  non ancora divisa tra i coeredi, oppure un immobile per il quale è intervenuto un contratto preliminare di vendita ma non il contratto definitivo, che è quello che effettivamente trasferisce la proprietà : in entrambi i casi ci troviamo di fronte ad un donante che non ha la proprietà  del bene che ha donato. Il legittimo proprietario (o comproprietario) della cosa donata, che agisce contro il beneficiario dell'atto traslativo, non sollevando tuttavia il vizio di nullità  per donazione di cosa altrui, può tirare un sospiro di sollievo perchè, il suo diritto, può esser fatto valere d'ufficio dal giudice. Occorre aggiungere che, tuttavia, le SSUU nella pronuncia leading case del 2013[1] (la quale, come vedremo di seguito, motiva la nullità  della donazione di beni altrui con diversa argomentazione), hanno suggerito un modo per salvare almeno l'effetto obbligatorio della donazione. Se il donante e il donatario, dichiarano nel contratto di essere consapevoli che il bene oggetto del gesto di liberalità  è di proprietà  di un terzo, la donazione, pur non essendo valida a trasferire la proprietà , vincola il donante a cedere la titolarità  del bene una volta che questo ultimo entri nel suo patrimonio. Per approfondimenti chiedi ai Notai SuperParteshttp://associazionesuperpartes.it/notai/ Il fatto Più soggetti agivano contro Caia, comproprietaria di una parte dell'estensione di un fondo edificatorio, lamentando che avesse occupato una larga fascia del terreno rimasto in comunione realizzando una rampa di accesso per autoveicoli. Chiedevano la condanna alla demolizione dell'opera realizzata sul bene in comunione, la riduzione in pristino dello stato dei luoghi e il risarcimento dei danni. La Corte D'Appello di Bari rilevava l'inesistenza della proprietà  di Caia perchè suo padre, che le aveva donato il terreno, non era a sua volta proprietario. La Cassazione conferma la pronuncia dell'appello, precisando come la nullità  della donazione di un bene altrui sia un vizio rilevabile d'ufficio. Ragioni giuridiche La nullità  dell'atto traslativo di donazione su beni altrui è rilevabile d'ufficio, attesa la disciplina complessiva di tale istituto, con particolare riferimento nell'art. 771 c.c. La sentenza in commento sembra così allinearsi a quella giurisprudenza che argomenta la nullità  in questione attraverso un'interpretazione estensiva dell'articolo 771 c.c., che rende invalida la donazione di beni futuri. Il divieto di donare beni altrui, sarebbe assimilabile a quello di donare beni futuri perchè, in entrambe le ipotesi, trattasi di atti perfezionati prima che il loro oggetto entri nel patrimonio giuridico del donante. La ratio sarebbe dunque quella di porre un freno al fenomeno di prodigalità , e di limitare l'impoverimento del donante ai soli beni esistenti al momento dell'atto di liberalità , nonchè quella di salvaguardare la proprietà  di terzi. Altro indirizzo giurisprudenziale è quello inaugurato dalla pronuncia sopra menzionata delle SSUU, secondo cui la nullità  della donazione della cosa altrui non deriva dal divieto di cui all'art 771 c.c., ma dal difetto di causa del contratto, e dall'incompatibilità  con la sua struttura e funzione: l'animus donandi è spontaneo e libero, non può dipendere da condizioni non conosciute e non può far assumere al donante l'obbligazione di procurare l'acquisto del bene del terzo. Per leggere gli altri articoli SuperPartes clicca qui:http://associazionesuperpartes.it/extra/blog/ Dott.ssa Eleonora Baglivo [1] Cass. Civ., S.U., 15/03/2016, n. 5068

    Scopri di più