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    27 novembre 2017

    Sì all’esercizio della professione forense in...

    Cosa cambia per il cittadino Dopo un lungo e non sempre semplice iter legislativo, il 14 agosto scorso è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge 4 agosto 2017 n. 124, “Legge annuale per il mercato e la concorrenza“. Come ben noto, le finalità della norma sono quelle di rimuovere gli ostacoli regolatori all’apertura dei mercati, promuovere lo sviluppo della concorrenza e garantire la tutela dei consumatori, anche in applicazione dei principi del diritto dell’Unione europea in materia di libera circolazione, concorrenza e apertura dei mercati, nonché delle politiche europee in materia di concorrenza. Moltissime le novità, incluse alcune rilevanti modifiche per gli avvocati ed in particolare la possibilità di esercitare la professione in forma societaria. Ma vediamo nel dettaglio quali sono le condizioni. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Esercizio della professione forense in forma societaria Come già evidenziato, le novità contenute nel comma 141 della nuova Legge 124/17 sono davvero rilevanti e vanno a modificare in maniera consistente quella che fino ad oggi era la disciplina della professione forense contenuta nella Legge 247/12 (“Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”), e ciò al fine di garantire una maggiore concorrenzialità nell’ambito della professione. La novità senz’altro più interessante per gli avvocati attiene alla possibilità di esercitare la professione forense in forma di società di persone, di capitali e cooperative. Infatti la nuova legge prevede che “l’esercizio della professione forense è consentito a società di persone, a società di capitali o a società cooperative iscritte in un’apposita sezione speciale dell’albo tenuto dall’ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede la stessa società, dove è resa anche disponibile la documentazione analitica, per l’anno di riferimento, relativa alla compagine sociale. E’ tuttavia espressamente vietata la partecipazione societaria tramite società fiduciarie, trust o per interposta persona e una eventuale violazione in tal senso comporta di diritto l’esclusione del socio”. La legge elenca espressamente le condizioni richieste: i soci, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, devono essere avvocati iscritti all’albo, ovvero avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti in albi di altre professioni; il venire meno di tale condizione costituisce causa di scioglimento della società e il consiglio dell’ordine presso il quale è iscritta la società procede alla cancellazione della stessa dall’albo, salvo che la società non abbia provveduto a ristabilire la prevalenza dei soci professionisti nel termine perentorio di sei mesi;la maggioranza dei membri dell’organo di gestione deve essere composta da soci avvocati;i componenti dell’organo di gestione non possono essere estranei alla compagine sociale; i soci professionisti possono rivestire la carica di amministratori. Preme sottolineare che, in ogni caso, anche se si opti per l’esercizio della professione forense in forma societaria, resta sempre fermo il principio della personalità della prestazione professionale. L’incarico può essere svolto soltanto da soci professionisti in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento della specifica prestazione professionale richiesta dal cliente, i quali devono assicurare per tutta la durata dell’incarico la piena indipendenza e imparzialità, dichiarando possibili conflitti di interesse o incompatibilità, iniziali o sopravvenuti. Inoltre la sospensione, cancellazione o radiazione del socio dall’albo costituisce causa di esclusione dalla società e in ogni caso le società sono tenute al rispetto del codice deontologico forense e sono soggette alla competenza disciplinare dell’ordine di appartenenza. La legge prevede, infine, che la responsabilità della società e quella dei soci non escluda la responsabilità del professionista che ha eseguito la specifica prestazione. Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    16 giugno 2017

    Copiare la forma di un prodotto è concorrenza...

    Tribunale Ordinario di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa, ordinanza n. 51429 del 30 dicembre 2016 Cosa cambia per il cittadino. Ai sensi della legge è considerata concorrenza sleale l'uso di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con quelli legittimamente usati da altri o l'imitazione servile dei prodotti di un concorrente. Ma anche la "forma" un prodotto può considerarsi segno distintivo, al punto che imitarla costituisce concorrenza sleale? Il Tribunale di Milano, sezione specializzata in materia di impresa, ha ritenuto di sì. Nel caso di specie la forma di una scarpa è stata considerata talmente originale e caratterizzante da essere un "elemento distintivo" del prodotto e dell'azienda produttrice e, dunque, conseguentemente, la sua imitazione un'ipotesi di concorrenza sleale disciplinata ai sensi dell'art. 2598 c.c., idonea a creare confusione sul mercato circa la reale provenienza del prodotto. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes http://associazionesuperpartes.it/notai/ Il fatto Una società  operante nel settore della moda ha convenuto in giudizio due società  concorrenti, con l'accusa di aver commercializzato scarpe di imitazione, in particolare per aver realizzato una calzatura con la tomaia integralmente coperta da un fiocco, elemento che contraddistingueva quelle della ricorrente sul mercato in maniera, a suo dire, univoca. Tale condotta veniva ritenuta sussumibile nella concorrenza sleale prevista dal Codice civile, sub specie nelle ipotesi 1) e 2) dell'art. 2598 c.c., e dunque veniva chiesto al Tribunale di inibire l'ulteriore produzione, commercializzazione, importazione e promozione, nonché di condannare le convenute al pagamento di una somma per ogni giorno di ritardo nell'adempimento, con rifusione delle spese e pubblicazione del provvedimento giudiziario. Le ragioni giuridiche Il Tribunale di Milano ha accolto il ricorso, ritenendo però la condotta delle convenute sussumibile solamente nella prima ipotesi di concorrenza sleale prevista dall'art. 2598 c.c. e non anche nella seconda. L'art. 2598 del Codice civile prevede tre distinte ipotesi di concorrenza sleale ed in particolare che compie atti di concorrenza sleale chiunque: 1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività  di un concorrente; 2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività  di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente; 3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda. Or dunque il Tribunale di Milano ha ritenuto, nel caso di commercializzazione di prodotti copiati nella forma, sussistente il fumus boni iuris solamente in relazione al punto 1) dell'art. 2858 c.c. In particolare, ha ritenuto che anche la forma di un prodotto, a certe condizioni, possa essere considerato un elemento individualizzante del prodotto immesso sul mercato. Questo perché la tutela di cui all'art. 2598, comma 1, c.c. attiene non alla forma del prodotto in sé, bensì a quegli "elementi accidentali o capricciosi che consentono di assurgere ad elemento distintivo di un prodotto". Nel caso di specie, effettivamente, la particolare forma della calzatura appariva dotata di capacità individualizzante del prodotto, in quanto costituente una caratteristica "esteriore, originale, non condizionata dalla funzione, e perciò destinata ad avere una portata distintiva", in quanto è tramite la stessa che il consumatore ricollegava il prodotto a quella determinata azienda. Inoltre, la sostanziale identicità  dei prodotti genererebbe un effetto confusorio, idoneo ad indurre in inganno il consumatore sulla provenienza del prodotto, con conseguente quindi sussistenza di tutti i presupposti richiesti dall'art. 2598 co 1 n. 1 c.c. Al contrario, la condotta tenuta dalla convenuta non rientrerebbe nella diversa ipotesi prevista dal n. 2 dell'art. 2598 co 1 c.c., il quale disciplinerebbe una diversa ipotesi consistente nella "condotta parassitaria, che sia rivolta all'appropriazione di qualità  e pregi dell'attività  e del prodotto altrui, ferma restando la distinzione d'identità  fra gli uni e gli altri". Ipotesi che non sembra configurabile quando ad essere contraffatta è proprio la forma caratterizzante di un prodotto, riprodotta in modo sostanzialmente identico tanto da ingenerare confusione sulla provenienza (con conseguente integrazione dell'ipotesi n. 1 e non dell'ipotesi n. 2 del 2598 c.c.). Per leggere gli altri articoli SuperPartes clicca qui: http://associazionesuperpartes.it/extra/blog/

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