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    10 giugno 2020

    Limitazioni al divieto del patto commissorio

    Cassazione, sentenza 17 gennaio 2020, n. 844, sez. III civile. Il divieto del patto commissorio sancito dall’art. 2744 c.c. Non opera quando nell’operazione negoziale (nella specie, una vendita immobiliare con funzione di garanzia) sia inserito un patto marciano trattandosi di clausola lecita, che persegue lo stesso scopo del pegno irregolare ex art. 1851 c.c. Ed è ispirata alla medesima “ratio” di evitare approfittamenti del creditore in danno del debitore. Per patto marciano è da intendersi l’atto in forza del quale, nell’eventualità di inadempimento del debitore, il creditore vende il bene, previa stima, versando al debitore l’eccedenza del prezzo rispetto al credito. E’ necessario, dunque, che le parti abbiano previsto, al momento della sua stipulazione, che, nel caso ed al momento dell’inadempimento, sia compiuta una stima della cosa, entro tempi certi e modalità definite, che assicuri una valutazione imparziale, ancorata a parametri oggettivi ed automatici oppure affidata ad una persona indipendente ed esperta, la quale a tali parametri debba fare riferimento.Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    08 giugno 2017

    Sale and lease back: quando è nullo?

    Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza n. 11449 del 10 maggio 2017 Cosa cambia per il cittadino. Il contratto di lease and sale back è una particolare forma di leasing che assolve una funzione di finanziamento. Propriamente consiste nella vendita di un determinato bene (sale) e nella successiva stipulazione di un contratto di leasing (lease back), con cui la società  di leasing, divenuta proprietaria, lo riconcede in godimento all'originario proprietario a fronte di un corrispettivo periodico. E' una forma particolarmente diffusa tra gli imprenditori, soprattutto in relazione ai beni strumentali all'impresa. Si faccia l'esempio di un imprenditore, proprietario del capannone in cui ha sede la sua produzione, che necessiti di un finanziamento. Il lease back serve proprio in questi casi. Il soggetto potrebbe vendere il bene ad un ente esercente attività  creditizia il quale a sua volta potrebbe riconcedergli in leasing il bene. Se apparentemente l'operazione può sembrare sempre vantaggiosa per l'imprenditore, che si trova ad avere sia il denaro sia la disponibilità  del bene, occorre precisare che questo strumento può, invece, celare, a determinate condizioni, una violazione del divieto di patto commissorio contenuto nell'art. 2744 c.c. Per verificare se il contratto di lease back sia o meno nullo occorre di volta in volta guardare alla circostanze concrete in cui esso è stato stipulato per capire se nasconda in realtà  una finalità  illecita, consistente nell'abuso del soggetto in quel momento economicamente più fragile. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes http://associazionesuperpartes.it/notai/ Il fatto Il curatore fallimentare di una società  aveva domandato e ottenuto la declaratoria di nullità  di un contratto di lease back avente ad oggetto un immobile, in quanto considerato violativo dell'art. 2744 c.c., atteso che nello stesso atto di vendita si precisava che l'immobile veniva acquistato "al solo scopo di concederlo in locazione finanziaria alla soc. ("¦) s.r.l.", e dunque era palese lo scopo di garanzia come causa del contratto. Inoltre altri due elementi facevano propendere in tal senso: il prezzo del bene, assolutamente sproporzionato rispetto al valore stimato nel bilancio della società  venditrice e il fatto che fosse ben noto alla società  acquirente lo stato di insolvenza in cui versava la venditrice. Le ragioni giuridiche L'art. 2744 c.c. prevede il cosiddetto divieto di patto commissorio, ovvero la nullità  di qualunque accordo con cui si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà  della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore, anche nel caso in cui il patto sia posteriore alla costituzione dell'ipoteca o del pegno. Tale regola è stata poi pacificamente considerata applicabile anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste dal Codice civile (pegno e ipoteca), ritenendola in generale un principio del nostro ordinamento, nel senso che il 2744 c.c. conterrebbe in realtà  un divieto di risultato, essendo vietati tutti quei patti con cui si determina il trasferimento del bene dato in garanzia nel caso di mancato pagamento da parte del debitore. Per capire se l'operazione posta in essere dalle parti sia preordinata alla fraudolenta elusione del divieto codicistico, occorre prestare attenzione alle circostanze del caso concreto e valutarle alla luce dei criteri sintomatici individuati dalla giurisprudenza per capire se ci sia un approfittamento delle condizioni di debolezza del venditore. Nel caso analizzato dalla Corte gli elementi fattuali che deponevano in tal senso erano abbastanza evidenti, se si considerano le difficoltà  economiche dell'impresa venditrice e la sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall'acquirente, indici senz'altro rivelatori della finalità  elusiva del divieto di patto commissorio in concreto perseguita dagli stipulanti. A ciò si aggiunga (anche se in realtà  nel caso di specie la Cassazione non l'ha ritenuto un fattore determinante) la preesistenza di un precedente rapporto debitorio tra le parti, che depone come ulteriore elemento di presunzione di una causa di garanzia sproporzionata e dunque non meritevole di tutela. Per leggere gli altri articoli SuperPartes clicca qui: http://associazionesuperpartes.it/extra/blog/

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    09 settembre 2016

    Patto commissorio e vendita

    L'uso del prezzo della vendita per pagare precedenti debiti non integra patto commissorio. Il codice civile, all'articolo 2744, sancisce il divieto di patto commissorio, ovvero quel patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà  della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. La giurisprudenza e la dottrina sono unanimi, oggi, nell'interpretare tale divieto in senso più generale, non limitandolo ai soli casi in cui la cosa sia data in pegno o ipotecata, come potrebbe sembrare dal dato strettamente letterale dell'art. 2744 c.c. Quello previsto dal suddetto articolo va inteso, al contrario, come un divieto di risultato, che si realizza ogniqualvolta la proprietà  venga trasferita a seguito di inadempimento. La giurisprudenza ha ritenuto, ad esempio, sussistere un patto commissorio nel caso di vendita sospensivamente condizionata all'inadempimento o, viceversa, risolutivamente condizionata all'adempimento. In tali casi, infatti, il risultato perseguito dalle parti è comunque quello del trasferimento del bene al solo scopo di garanzia dell'adempimento. Se in tali ipotesi è evidente l'impiego dello strumento della compravendita per realizzare una diversa e vietata funzione - quella di garanzia - il recente caso esaminato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 1075 del 2016 è diverso. L'ipotesi è quella in cui venga posta in essere una compravendita, il cui prezzo sia in parte pagato mediante il ripianamento di debiti preesistenti verso il compratore o verso terzi. Nel caso di debiti già  scaduti, non vi è, secondo la Corte, violazione del divieto di patto commissorio. Il contratto di compravendita non realizza, infatti, uno scopo di garanzia, ma semplicemente quello di fornire ai venditori dell'immobile la provvista per estinguere i precedenti debiti già  scaduti. Allo stesso modo, per quanto attiene a debiti non ancora esigibili al momento della vendita dell'immobile, l'eventuale rateizzazione del prezzo da versare a terzi creditori deve essere qualificata come delegazione di pagamento di tali preesistenti obbligazioni, piuttosto che come finanziamento diretto del compratore al venditore (mutuo). In conclusione, secondo la Corte, nessuna delle due precedenti ipotesi integra una funzione di garanzia. Affinchè di patto commissorio si possa parlare occorre, infatti, che vi sia prova che i vari rapporti negoziali tra le parti ed eventuali terzi siano stati voluti e concepiti come funzionalmente connessi al fine di realizzare, appunto, quello scopo di garanzia vietato dal legislatore.

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