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    22 marzo 2024

    La comunione legale: cos’e’ e come funziona?

    Con il matrimonio ha inizio la vita coniugale alla quale consegue, oltre che una condivisione spirituale, anche una condivisione patrimoniale, che la legge non manca di disciplinare. L’istituto della comunione legale dei beni si inserisce esattamente in questo contesto. Ma perché si chiama legale? E che cosa comporta tale regime patrimoniale? La comunione dei beni si definisce “legale” perché rappresenta il regime patrimoniale della famiglia previsto per legge, in modo automatico, per le coppie sposate o unite civilmente in mancanza di una loro esplicita e differente determinazione: in alternativa, infatti, i coniugi possono stipulare apposita convenzione matrimoniale per scegliere un regime diverso, come ad esempio la separazione dei beni. A differenza della comunione c.d. ordinaria, che è una comproprietà per quote nella quale ciascun comunista può disporre della propria quota senza pregiudicare l’intero, la comunione legale si caratterizza per essere una comunione senza quote. Il che significa che i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota – non potendo, quindi, disporre della singola quota sul bene – ma sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto l’intero bene compreso nella comunione. Costituiscono oggetto di comunione immediata: Gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio;Le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio;Gli utili e gli incrementi delle aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite prima del matrimonio. Vi è, poi, una particolare forma di comunione che riguarda alcuni beni (come, per esempio, i frutti dei beni propri di ciascuno dei due coniugi; i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi) che durante il matrimonio appartengono al coniuge che li ha percepiti, ma che rientrano nell’oggetto della comunione qualora non siano stati consumati al momento dello scioglimento di questa: tale forma di comunione viene detta comunione de residuo.   A tali categorie di beni si affianca quella dei beni personali, che sono e restano di proprietà esclusiva di ciascun coniuge e cioè: I beni di cui il coniuge, prima del matrimonio, era già proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento;I beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione quando nell’atto di donazione o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione;I beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori, cioè i beni che non si prestano ad un uso comune;I beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, ad eccezione di quelli destinati alla conduzione di un’azienda facente parte della comunione;I beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa;I beni acquistati con il prezzo della vendita di quelli elencati ai punti precedenti o con il loro scambio. In quest’ultimo caso, i beni personali possono essere sostituiti con altri beni che non cadono in comunione, ma occorre che il coniuge acquirente reda un’apposita dichiarazione nell’atto di acquisto e che all’atto intervenga anche l’altro coniuge qualora l’acquisto riguardi beni immobili o beni mobili registrati.  È la legge, dunque, a stabilire quali beni cadano nel regime di comunione legale e quali, invece, restino di proprietà esclusiva di uno solo dei due coniugi. Di conseguenza, in costanza di comunione, il regime si applica sempre, non essendovi la facoltà di scegliere se fare rientrare o meno all’interno della comunione ogni singolo acquisto, fatta salva la possibilità per i coniugi di cambiare regime patrimoniale. L’amministrazione dei beni L’amministrazione dei beni della comunione spetta ai coniugi, che la esercitano con modalità differenti a seconda che si tratti di atti di ordinaria amministrazione o di straordinaria amministrazione. Infatti, l’amministrazione ordinaria dei beni della comunione e la relativa rappresentanza processuale spettano disgiuntamente ad entrambi i coniugi, senza dunque che sia necessario acquisire il consenso dell’altro; a contrario, gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, nonché la stipula dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento, come ad esempio la locazione, e la relativa rappresentanza processuale devono essere necessariamente compiuti congiuntamente con il consenso di entrambi i coniugi. E se il consenso venisse espressamente rifiutato da uno dei coniugi? In tal caso, l’atto non potrà essere legittimamente compiuto. Tuttavia, se l’atto risulta essere finalizzato all’interesse della famiglia o dell’azienda eventualmente gestita da entrambi i coniugi e costituita dopo il matrimonio, il coniuge potrà chiedere al giudice di essere autorizzato a compierlo comunque, nonostante il dissenso. Potrebbe anche accadere che il consenso non sia espressamente rifiutato, ma manchi. In questo caso, l’atto compiuto da un coniuge in assenza del consenso dell’altro potrà essere convalidato da quest’ultimo, diventando pienamente valido. Tuttavia, l’atto potrebbe anche non essere convalidato. In questo caso: Se l’atto posto in essere ha ad oggetto un bene immobile o un bene mobile registrato esso è annullabile nel termine massimo di un anno dal momento in cui l’altro coniuge ne ha avuto conoscenza o dalla sua trascrizione o dallo scioglimento della comunione;Se l’atto posto in essere ha per oggetto un bene mobile non registrato esso è efficace. Sorge, tuttavia, l’obbligo in capo al coniuge che lo ha compiuto di ricostruire la comunione nello stato in cui si trovava prima della realizzazione dell’atto o, se ciò non è possibile, al pagamento dell’equivalente. Lo scioglimento La comunione legale si scioglie per cause indicate dalla legge. Tali cause sono: La morte di uno dei coniugi o la dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi;L’annullamento, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio;La separazione personale tra i coniugi;La separazione giudiziale dei beni;Il mutamento convenzionale del regime matrimoniale;Il fallimento di uno dei coniugi. Verificatasi una causa di scioglimento della comunione, cessa il regime legale di coacquisto e, pertanto, tutti i beni successivamente e individualmente acquistati da ciascun coniuge rimangono di proprietà esclusiva di questo. Tuttavia, perdura la situazione di contitolarità dei cespiti acquistati precedentemente, per i quali bisognerà procedere alla divisione. Allo scioglimento della comunione legale, infatti, ciascun coniuge può domandare la divisione del patrimonio comune che si effettua in parti uguali, senza possibilità di prova di un diverso apporto economico dei coniugi all’acquisto di un bene in comunione. La divisione dei beni in comunione deve tenere conto anche delle eventuali passività gravanti sui beni comuni e in ciascuna porzione, per quanto possibile, deve essere compresa una identica quantità di mobili, immobili e crediti, salva la facoltà di compensare eventuali squilibri con conguagli in denaro. Hai intenzione di cambiare regime patrimoniale o desideri ulteriori informazioni per una scelta più consapevole? Contatta i Professionisti SuperPartes per maggiori informazioni o un appuntamento!Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes Foto di olcay ertem da Pixabay

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    03 settembre 2021

    Attribuzione patrimoniale nell’ambito della...

    Cassazione, ordinanza n. 18721/2021. Un’attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio può configurarsi come adempimento di un’obbligazione naturale allorchè la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    23 luglio 2021

    Gli accordi prematrimoniali

    Cassazione, ordinanza n. 11012/2021. Gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all’art. 160 c.c..  Ne consegue che di tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente tali esigenze, in quanto una preventiva pattuizione potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio In tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di separazione, i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra di loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito-credito portate da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell'uno e a favore dell'altro da versarsi "vita natural durante", il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull'an dell'assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla qualificazione della natura dell'accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) "in occasione" della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perché giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all'assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare).Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    30 agosto 2017

    Successioni: rinunzia al legato in sostituzione...

    Cassazione civile, sez. II, del 9 giugno 2017, sent. n. 14503 Cosa cambia per il cittadino La volontà  di rinunziare al legato di beni immobili, per la cui validità  è necessaria la forma scritta, ai sensi dell'art. 1350 n. 5 c.c., può essere dichiarata anche con l'atto di citazione con il quale il legittimario introduce l'azione di riduzione contro le disposizioni testamentarie o legali, ovvero contro le donazioni che ledono la propria quota di legittima. L'atto di citazione, ha infatti natura recettizia e, provenendo dalla parte che, con il rilascio della procura a margine o in calce, ne ha fatto proprio il contenuto, soddisfa altresì il requisito della sottoscrizione, rispettando in toto il requisito imposto dal 1350 cc. Dunque, la rinunzia scritta non deve necessariamente intervenire prima della proposizione della domanda di riduzione. Al fine di comprensione, occorre fare un passo indietro e chiarire cosa sia un legato in sostituzione di legittima e come si possa rinunziare ad esso. Talora i testatori, per evitare il frazionamento del patrimonio da devolvere in caso di morte e per conservare i beni in famiglia, attribuiscono ai legittimari (figli, coniuge, e ascendenti se mancano i figli) un legato di somma di denaro o di bene determinati, in alternativa alla quota di legittima. Il legittimario può scegliere: può rinunziare al legato e chiedere la quota di legittima spettantegli, oppure conseguire il legato senza la possibilità  di chiedere un supplemento qualora esso sia di valore inferiore a quello della legittima. Inoltre, la mancata rinunzia del legato, non fa acquisire la qualità  di erede perciò, se da un lato è escluso il trasferimento dei debiti ereditari, dall'altro è precluso vantare ogni diritto di sorta su beni ereditari diversi da quelli attribuiti con il legato. Nessun legato ha bisogno di accettazione, né quello "standard" né quello in sostituzione di legittima nonostante le sue peculiarità , perché si acquista automaticamente al momento della morte del decuius; per lo stesso motivo, qualora il legatario non voglia il diritto, deve espressamente rinunziarvi. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes Il fatto Tizio, tramite testamento olografo, aveva nominato erede universale sua nipote, lasciando alla moglie, tramite legato in sostituzione di legittima, l'usufrutto sull'intero patrimonio. La coniuge agiva con l'azione di riduzione avverso la nipote, esplicitando di non voler conseguire il legato di usufrutto ma di volere sua la quota di legittima. La Cassazione ha ritenuto che, la rinunzia al legato su beni immobili, che richiede la forma scritta ad substantiam, ben poteva essere contenuta nell'atto di citazione del giudizio. Le ragioni giuridiche La rinunzia del legato ha natura eliminativa, nel senso che è volta a rimuovere un diritto già  entrato nel patrimonio del legatario, il quale, attraverso una fictio iuris, tornerà  nell'asse ereditario "come se non fosse mai uscito" (effetto retroattivo della rinunzia). E l'atto di rinunzia, come ogni atto di disposizione su beni immobili, deve farsi per iscritto ai sensi dell'art. 1350 n. 5 cod. civ. Premesso ciò, la Suprema Corte ha ritenuto che il requisito della forma scritta possa essere soddisfatto anche dall'atto di citazione per due motivi: 1)è un atto recettizio, e quindi per dispiegare i propri effetti, deve pervenire al destinatario; 2) contenendo una procura, è anche sottoscritto. Dott.ssa Eleonora Baglivo Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes

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    29 maggio 2017

    Un istituto "insidioso": la fideiussione

    Cosa cambia per il cittadino. Dietro quella che viene semplicemente chiamata "firma a garanzia" si nasconde in realtà  un istituto giuridico di una certa complessità  e dalle conseguenze patrimoniali rilevanti per "chi firma". Si pensi solo a quante volte i genitori firmano a garanzia dei propri figli che necessitano di un mutuo per l'acquisto di un immobile. Apporre la propria firma con troppa leggerezza può però rilevarsi un errore che può costare caro. Cosa si nasconde realmente dietro la fideiussione? Quali sono le conseguenze e gli effetti di questo istituto assai diffuso ma in realtà  poco conosciuto (e anche un po' insidioso)? Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes http://associazionesuperpartes.it/notai/ Cos'è la fideiussione? La fideiussione è quel contratto con cui un soggetto (il fideiussore) garantisce l'adempimento di un'obbligazione altrui obbligandosi personalmente verso il creditore. Sostanzialmente si tratta di un'obbligazione accessoria che il garante assume a sostegno del debito del debitore principale. Per saggiare la sua insidiosità  basti pensare come, ai fini della sua validità , sia sufficiente la forma scritta, non essendo richieste formalità  particolari, con la conseguenza che il soggetto può trovarsi a firmare una garanzia che lo impegna con tutto il suo patrimonio sottovalutando l'esatta consistenza del suo impegno. Effetti della fideiussione. Gli effetti della fideiussione sono molteplici e riguardano il patrimonio del fideiussore e la sua "reputazione" creditizia. La fideiussione, infatti, obbliga il soggetto che ha prestato garanzia all'adempimento in solido con il debitore principale, chiamandolo a rispondere in caso di inadempimento con tutto il suo patrimonio. Per quanto riguarda l'ordine di escussione, la regola generale è che il creditore può chiedere l'adempimento indifferentemente sia al debitore sia al fideiussore. Le parti possono derogarvi convenzionalmente stabilendo il beneficio di escussione, con cui si stabilisce una sorta di "ordine", nel senso che il garante non è tenuto a pagare se non dopo che il creditore abbia escusso il debitore principale. Inoltre sarebbe sbagliato pensare che il rapporto di fideiussione rimanga un rapporto, per così dire, "interno" tra la banca, il garante e il garantito perchè in realtà  il fideiussore viene inserito in Centrale Rischi (banca dati della Banca d'Italia), con tutto ciò che ne consegue in caso di inadempimento, soprattutto in ordine alla segnalazione come cattivo pagatore che può comportare non poche difficoltà  a accedere a nuovi finanziamenti qualora il garante ne avesse bisogno. Cosa succede se il fideiussore è costretto ad adempiere? Il fideiussore, dopo aver adempiuto al posto del debitore principale, può rivalersi su di lui per recuperare integralmente quanto versato al suo posto, anche se ciò può implicare un dispendio di tempo e di costi anche significativi. In particolare, una volta adempiuto, il fideiussore è surrogato nei diritti del creditore nei confronti del debitore principale, nel senso che ad esso subentra non solo nel credito ma anche nelle garanzie. La legge gli riconosce un'azione di regresso ai sensi dell'art. 1950 c.c. che comprende il capitale, gli interessi e le spese che il fideiussore abbia fatto dopo aver denunziato al debitore le istanze proposte contro di lui. Il fideiussore ha inoltre diritto agli interessi legali sulle somme pagate dal giorno del pagamento e se il debito principale produceva interessi in misura superiore al saggio legale, il fideiussore ha diritto a questi fino al rimborso legale. Per leggere gli altri articoli SuperPartes clicca qui:http://associazionesuperpartes.it/extra/blog/

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