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    15 ottobre 2020

    L’imposta di registro per il trust

    Cassazione, ordinanza del 29 maggio 2020 n. 10256. All’atto di dotazione di un trust si applica non l’imposta di donazione ma l’imposta di registro nella misura fissa di 200 euro, qualsiasi sia la struttura dell’atto e qualsiasi sia il suo scopo. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    15 ottobre 2020

    La natura dell’imposta di registro

    Corte Costituzionale, sentenza del 21 luglio 2020 n. 158. La Corte Costituzionale ha analizzato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, c.d. TUR), nella parte in cui, nella sua attuale formulazione, dispone che, nell’applicare l’imposta di registro «secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso, “prescindendo da quelli extratestuali e degli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”». La questione era stata sollevata dalla Corte di Cassazione con ordinanza del 23 settembre 2019 n. 212, sul presupposto che tale formulazione del citato art. 20 sarebbe lesiva: a) dell’art. 53 Cost., sotto il profilo dell’effettività dell’imposizione, in quanto – in contrasto con il principio «imprescindibile ed anche storicamente radicato» della prevalenza della sostanza sulla forma – «l’esenzione del collegamento negoziale dall’opera di qualificazione giuridica dell’atto produce l’effetto pratico di sottrarre ad imposizione una tipica manifestazione di capacità contributiva»; b) dell’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’eguaglianza e ragionevolezza, dal momento che «a pari manifestazioni di forza economica (e quindi di capacità contributiva) non possano corrispondere imposizioni di diversa entità […] a seconda che […] le parti abbiano stabilito di realizzare il proprio assetto di interessi con un solo atto negoziale piuttosto che con più atti collegati», non essendo il collegamento negoziale un indice di diversificazione di fattispecie legittimante un trattamento non omogeneo delle situazioni prese a comparazione. Nel ritenere non fondata la questione di incostituzionalità, la Corte Costituzionale ha evidenziato come il legislatore, con la denunciata norma ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal testo unico. In tal modo risulta rispettata la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico, coerenza sulla cui verifica verte il giudizio di legittimità costituzionale (su tale esigenza, ex multis, sentenze n. 10 del 2015, n. 116 del 2013, n. 223 del 2012 e n. 111 del 1997). Ne consegue che le questioni prospettate con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. sono non fondate, in quanto si basano sull’assunto del rimettente che, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, i fatti espressivi della capacità contributiva, indicati negli effetti giuridici desumibili, anche aliunde, dalla causa concreta del negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, sono i soli costituzionalmente compatibili con gli evocati parametri. È proprio tale assunto che non può essere accolto: tali parametri, infatti, sul piano della legittimità costituzionale non si oppongono in modo assoluto a una diversa concretizzazione da parte legislatore dei principi di capacità contributiva e, conseguentemente, di eguaglianza tributaria, che sia diretta (come stabilito dalla norma censurata) a identificare i presupposti impostivi nei soli effetti giuridici desumibili dal negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, senza alcun rilievo di elementi tratti aliunde, «salvo quanto disposto dagli articoli successivi» dello stesso testo unico. In tal modo, del resto, il criterio di qualificazione e di sussunzione in via interpretativa risulta omogeneo a quello della tipizzazione, secondo le regole del testo unico e in ragione degli effetti giuridici dei singoli atti distintamente individuati dal legislatore nelle relative voci di tariffa ad esso allegata. Una volta constatato, per i motivi meglio espressi nella pronuncia allegata, che non è manifestamente arbitrario che il legislatore abbia ribadito la ratio dell’imposta di registro in sostanziale conformità alla sua origine storica di “imposta d’atto” nei sensi sopra precisati, in caso di collegamento negoziale, qui può solo osservarsi, sul piano costituzionale, che l’interpretazione evolutiva, patrocinata dal rimettente, di detto art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, incentrata sulla nozione di “causa reale”, provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione dell’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000. Consentirebbe, infatti, all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di «indebiti» vantaggi fiscali e di operazioni «prive di sostanza economica», precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione europea).Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    29 novembre 2019

    Trust: tassazione in misura fissa!

    La Cassazione con la recentissima ordinanza n. 3021 di martedì scorso ribadisce il suo orientamento: il trasferimento dal settlor al trustee di immobili e partecipazioni sociali per una durata predeterminata o fino alla morte del disponente, i cui beneficiari siano discendenti di quest’ultimo, avviene a titolo gratuito e non determina effetti traslativi. Tale assunto si fonda sul fatto che non vi è attribuzione definitiva al trustee, il quale è tenuto soltanto ad amministrare e custodire i beni oggetto del trust in regime di segregazione patrimoniale, in vista del suo ritrasferimento ai beneficiari del trust. L’atto in questione, dunque, è soggetto a tassazione in misura fissa, sia per quanto attiene all’imposta di registro che alle imposte ipotecaria e catastale. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    05 novembre 2019

    Consegna differita dell’immobile: non si...

    La clausola di consegna differita dell’immobile contenuta in una compravendita non sconta l’imposta di registro. Con la risposta n. 458/2019 l’Agenzia delle Entrate risolve una questione controversa aderendo all’interpretazione fornita dal contribuente e dal suo notaio. La Direzione centrale, in linea con gli artt. 1476 e 1477 c.c. e con la giurisprudenza di legittimità, afferma che la consegna differita pattuita in una compravendita non costituisce comodato ma una semplice disciplina della consegna della cosa venduta. Non si tratta, dunque, di un contratto ma di una obbligazione disciplinata nella vendita e, quindi, non è dovuta alcuna imposta di registro. Con ciò si pone fine ad irragionevoli ricostruzioni fornite negli anni da taluni uffici periferici  che interpretavano come comodato la clausola in esame applicando l’imposta di registro. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    28 luglio 2017

    Corte di Cassazione: al conferimento di beni...

    Corte di Cassazione, sentenza n. 3562 del 10 febbraio 2017 La Corte di Cassazione, in questa importante sentenza, ha colto l'occasione per chiarire definitivamente la portata dell'art. 20 D.P.R. 131/1986 in termini di norma "interpretativa" e non antielusiva, che impone una qualificazione oggettiva degli atti secondo la loro "causa concreta" e ciò anche a prescindere dalla qualificazione formale ad essi attribuiti dalle parti. Nel caso di specie, in particolare, in presenza di una causa unitaria che lega i singoli atti e di circostanze fattuali che depongono in tal senso, il conferimento di un'azienda in società  e la cessione delle quote della conferita possono integrare una cessione di azienda, con conseguente applicazione dell'imposta di registro in misura proporzionale. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Il fatto La vicenda prende le mosse da un avviso di liquidazione di imposta di registro notificato dall'Agenzie delle Entrate, avverso il quale la contribuente proponeva ricorso. In particolare l'Agenzia delle Entrate contestava l'omessa applicazione dell'imposta di registro ad alcune operazioni di conferimento di azienda compiute dalla società  attraverso cessione di partecipazioni societarie. Le ragioni giuridiche La Corte di Cassazione, nell'accogliere il ricorso, ha sottolineato come l'art. 20 D.P.R. 131/86 consideri elemento preminente la causa reale dell'operazione, motivo per cui il conferimento di un'azienda in società  e la cessione delle quote della conferita possono integrare una cessione di azienda qualora le circostanze fattuali esterne all'atto depongano in tal senso; e tale circostanza non è smentita nemmeno dall'alterità  soggettiva tra cessionario dell'azienda e cessionario delle quote o dal fatto che l'operazione sia effettivamente genuina. L'intento elusivo non rientra, infatti, nella fattispecie normativa dell'art. 20 D.P.R. 131/1986, dal momento che quest'ultimo concerne l'oggettiva portata effettuale dei negozi e non contiene una disposizione antielusiva in senso stretto, come quella ad esempio contenuta nell'art. 37 bis D.P.R. 600/1973 - all'epoca dei fatti applicabile e poi sostituito dall'art. 10 bis della Legge 212/2000 -, ma semplicemente una regola interpretativa. L'art. 20 D.P.R. 131/1986, rubricato "interpretazione degli atti" prevede, infatti, che l'imposta di registro sia applicata secondo l'intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, riconoscendo in tal modo prevalenza alla causa effettiva dell'atto rispetto a quella cartolare. La Corte di Cassazione, pertanto, alla luce di tutte queste considerazioni, non ha ritenuto di aderire alla diversa interpretazione "atomistica" dell'operazione negoziale, sostenuta anche da controparte, ricordando come ormai da lungo tempo la giurisprudenza abbia aderito alla tesi della teoria in concreto che impone di considerare l'operazione nel suo complesso, non potendo la dicotomia "effetti giuridici" ed "effetti economici" del negozio giustificarsi se non nella prospettiva di una visione dell'atto isolato e della causa tipica. Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes

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    20 luglio 2017

    Cessione di cubatura: imposta di registro al 3%

    Comm. Trib. Reg. per il Piemonte, sentenza n. 721/31 dell'8 giugno 2016 Il negozio di cessione di cubatura sconta l'imposta di registro al 3%. E' quanto affermato dalla Commissione Tributaria Regionale per il Piemonte, che ha confermato la correttezza della liquidazione effettuata dal notaio rogante, ritenendo non condivisibile la diversa impostazione dell'Agenzia delle Entrate che avrebbe voluto, invece, assoggettare il negozio alla ben più alta aliquota dell'8% prevista per i trasferimenti immobiliari. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes Il fatto La vicenda prende le mosse da un avviso di liquidazione, relativo all'imposta di registro, notificato dall'Agenzia delle Entrate nei confronti di un contribuente che aveva venduto il diritto di volumetria relativo ad un suo appezzamento di terreno. L'ufficio, nel controllare la regolarità  dell'autoliquidazione, rilevava un errore effettuato dal notaio rogante, ritenendo la cessione di cubatura assimilabile alla categoria dei diritti reali immobiliari e dunque da assoggettare alla stessa tassazione dei trasferimenti immobiliari, ossia all'aliquota dell'8% (art. l Tariffa Parte Prima allegata al DPR 131/86) e non a quella del 3% come invece effettuato dal notaio. Le ragioni giuridiche Secondo l'Agenzia delle Entrate la cessione di cubatura produrrebbe effetti analoghi a quelli propri del trasferimento di diritti reali immobiliari, dal momento che il proprietario dell'area perderebbe il diritto di costruire sulla medesima che verrebbe acquistato dal proprietario del fondo cui la cubatura è trasferita. Quindi, secondo questa ricostruzione, similmente ad un contratto di vendita immobiliare, andrebbero applicate le normali imposte proporzionali di registro, così come disposto dall'art. l della tariffa Parte Prima allegata al DPR 131/86, che generalmente sono dell'8% salvo i casi particolari di aliquota ridotta o maggiorata. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale per il Piemonte, nel confermare la decisione dei giudici di primo grado, non ha ritenuto condivisibile questo orientamento, sottolineando come, al contrario, la cessione abbia ad oggetto "una entità  immateriale" il cui effetto traslativo è il risultato finale cui si perviene attraverso due atti distinti ma inscindibilmente collegati, uno di natura privatistica, concluso dai proprietari delle aree, con cui viene volontariamente limitata la possibilità  edificatoria di un fondo a favore dell'altro, e uno di natura pubblicistica, sub specie di provvedimento amministrativo, con cui viene autorizzata dal Comune la realizzazione sul terreno cessionario di un fabbricato, con una cubatura maggiore di quella spettante perché aumentata di quanta teorica volumetria si è spogliato l'altro fondo. Esclusa, quindi, la natura reale del bene trasferito, il proprietario di un fondo più che trasferire o costituire un diritto reale, impone a carico del fondo stesso ed a favore di un fondo confinante appartenente a diverso proprietario, un vincolo di destinazione, obbligandosi a non utilizzare l'area di sua proprietà  ai fini edificatori. Il Comune, poi, assegnando la cubatura dismessa a favore dell'area confinante, "prende atto" della diversa distribuzione dei volumi edificabili da un punto di vista urbanistico e reale. Da ciò deriva conseguentemente che, sotto il profilo fiscale, l'assimilazione della cubatura ai diritti reali è possibile. D'altronde la volumetria rappresenta un valore economico autonomo, in grado di staccarsi dalla proprietà  del suolo per formare oggetto di autonoma negoziazione tra i privati; si tratta di un bene in sé, proprio perché giuridicamente del tutto indipendente dalla realizzazione di un fabbricato futuro, edificato in forza di essa, che non può essere esercitato sull'immobile senza l'autorizzazione amministrativa che può ridurre o addirittura vanificare il diritto che, proprio per questo non può essere di natura reale. Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes

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    01 settembre 2016

    Cessione di quote o cessione d'azienda?

    La cessione del 100% del capitale sociale equivale a una cessione d'azienda, con applicazione del medesimo regime tributario. È quanto emerge dalla recente sentenza dellaComm.Trib. Reg. per la Toscana, che ha ritenuto corretta l'equiparazione, a fini fiscali, effettuata, dall'Agenzia delle Entrate. Quelloa cuioccorre dare preminenza è, infatti, il dato reale e gli effetti giuridici conseguiti dalle parti, piuttosto che il dato puramente formale (il titolo o la forma apparente così come qualificata dalle parti). Secondo l'interpretazione dell'agenzia delle entrate ,accolta dal giudice tributario,la cessione del 100% delle quote di un'aziendaequivale, nei fatti, a una cessione dell'intera azienda, apparendo chiara la ratio elusiva che spingerebbele parti a qualificare l'operazione come cessione di quote e noncome cessionedi azienda, alla luce delladiversità  dei rispettiviregimi fiscali. In realtà  possono sussistere ragioni giuridiche che determinano le parti a scegliere la cessione quote piuttosto che la cessione dell'azienda e che non possono essere trascurate in un ottica di mero gettito fiscale, per cui le fattispecie vanno valutate caso per caso e con la massima attenzione ai principi in tema di imposta di registro . In particolare,le cessioni di quote sono assoggettare a imposta di registro fissa (200 euro),mentre le cessioni di azienda sono assoggettate a un'imposta proporzionale al valore dell'azienda ceduta (3% sul valore dell'azienda).

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