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    30 novembre 2016

    Cosa succede al coniuge superstite che resta...

    La questione attiene alla qualificazione della permanenza da parte del coniuge, dopo la morte dell'altro coniuge, nella casa familiare e dell'uso dei relativi mobili, entrambi di proprietà , anche solo parzialmente, del coniuge defunto. Le soluzioni prospettabili, a lungo entrambe sostenute, poggiano sulla disciplina prevista dal Codice civile in materia. In primo luogo si potrebbe ipotizzare l'applicazione dell'art. 485 c.c., che prevede la figura del chiamato all'eredità  (e dunque nel caso di specie il coniuge) che sia nel possesso dei beni ereditari, che in tal caso consisterebbero nella dimora familiare e nel mobilio. La sua permanenza dunque all'interno della casa familiare potrebbe essere qualificata come possesso di beni ereditari, con tutto ciò che ne consegue in termini giuridici e fiscali. In secondo luogo si potrebbe ipotizzare, invece, l'applicazione dell'art. 540 c.c., che prevede che al coniuge, che concorra con altri chiamati all'eredità , debbano essere riservati il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se quest'ultimi risultano essere di proprietà  del coniuge defunto o comuni ad entrambi. Tra le due ricostruzioni appare preferibile la seconda, come ritenuto dalla recente giurisprudenza[1]. In particolare l'argomento a fondamento della prima tesi, e contro la seconda tesi, è sempre stato, in passato, la non applicabilità  dell'art. 540 c.c. alla successione legittima, ritenendo la disposizione operante solo nel diverso caso di successione necessaria. Tuttavia tale ricostruzione appare ormai superata anche alla luce della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, che si sono espresse a favore della sua applicabilità  anche nell'ipotesi di successione legittima. Da ciò deriva che, al coniuge, al di là  anche della sua qualità  di chiamato all'eredità , spetta comunque, al momento dell'apertura della successione, il diritto di abitazione sulla casa familiare e il diritto di uso dei mobili che la corredano, in qualità  di legato ex lege e senza necessità  di espressa accettazione. La sua permanenza nella dimora familiare è, dunque, qualificabile correttamente come legittimo esercizio di tali diritti, riconosciutigli per espressa previsione di legge e non esercizio del possesso ai sensi dell'art. 485 c.c... Questo comporta rilevanti ricadute applicative. Ad esempio, come affermato dalla Corte di Cassazione, da ciò discende che, nel caso in cui il coniuge superstite abbia rinunciato all'eredità , non può essere chiamato a rispondere di un debito (anche da parte del fisco) appartenente al de cuius, in quanto la mera permanenza nella casa familiare non è manifestazione di possesso dei beni ereditari, ma semplice esercizio di un diritto legittimo riconosciuto per legge[2]. [1] Cass. Sez. Un. n. 4847 del 27 febbraio 2013 nonchè, da ultimo, Cass. n. 1588 del 27 gennaio 2016. [2] Cass. n. 1588 del 27 gennaio 2016.

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    18 novembre 2016

    Mutuo non pagato? La banca vende casa

    Il settore dei mutui è stato recentemente interessato da una importante riforma che ha modificato anche la materia dell'inadempimento del contratto di credito da parte del consumatore, anche se, ad oggi, visti i pochi giorni di vita delle nuove previsioni legislative, non appare ancora del tutto chiara la disciplina applicabile. In attesa dell'emanazione delle disposizioni di attuazione, pertanto, si possono fare solo alcune riflessioni preliminari e generali, partendo da quello che è il nuovo dettato normativo. L'art. 120 - quinquiesdecies del T.U.B bancario (D. Lgs. 385/93), così come riformato dal Decreto Mutui (D.Lgs. 72/16), prevede innanzitutto, ferma la disciplina prevista in caso di ritardati pagamenti ex art. 40 comma 2, l'obbligo in capo al finanziatore di adottare procedure per gestire i rapporti con i consumatori in difficoltà  con i pagamenti. Sul punto la Banca d'Italia è stata chiamata ad adottare le relative disposizioni di attuazione, con particolare riguardo agli obblighi informativi e di correttezza del finanziatore, nonchè ai casi di eventuale stato di bisogno o di particolare debolezza del consumatore. La nuova disposizione prosegue poi, al secondo comma, prevedendo espressamente che il finanziatore non possa in ogni caso imporre al consumatore oneri, derivanti dall'inadempimento, superiori a quelli necessari a compensare i costi sostenuti a causa dell'inadempimento stesso. I costi sostenuti a causa dell'inadempimento segnano, quindi, il limite ultimo degli oneri a cui il consumatore può essere assoggettato per via dell'inadempimento del contratto di credito. Ma è il comma terzo dell'art. 120 - quinquiesdecies ad aver attratto, per ora maggiormente, l'attenzione degli interpreti del settore, il quale recita che, fermo restando il divieto di patto commissorio, le parti possono tuttavia convenire, con clausola espressa, al momento della conclusione del contratto di credito, che, in caso di inadempimento del consumatore, la restituzione o il trasferimento del bene immobile oggetto di garanzia reale o dei proventi della vendita del medesimo bene comporta l'estinzione dell'intero debito a carico del consumatore derivante dal contratto di credito. La legge specifica che in tali ipotesi l'intero debito residuo a carico del consumatore derivante dal contratto di credito si deve considerare estinto, anche se la somma ricavata risultasse essere inferiore al debito residuo. Al contrario se il valore dell'immobile, come stimato dal perito, ovvero l'ammontare dei proventi della vendita dovessero essere superiori al debito residuo l'eccedenza dovrà  essere restituita. Per quanto attiene alla vendita dell'immobile la legge precisa, poi, che il finanziatore si deve adoperare con ogni diligenza per conseguire il miglior prezzo di realizzo possibile. Preme sottolineare, in prima analisi, l'importanza di tale punto della riforma. Come è noto, infatti, l'art. 2744 c.c. prevede un imperativo divieto di patto commissorio. Seppur qualche voce discordante, la nuova previsione legislativa non appare in contrasto con il divieto sancito dal Codice civile. Il fatto che un'eventuale eccedenza di valore venga restituita sicuramente è un elemento che depone in tal senso, potendo il nuovo istituto essere qualificato come un patto marciano che, anche se non disciplinato espressamente nel nostro ordinamento, è presente da tempo immemore e della cui ammissibilità  e coerenza con i principi dell'ordinamento italiano non si è mai dubitato. Meritevole, infatti, sembra essere la ratio a fondamento della previsione, che non appare essere quella di abuso della posizione debole del consumatore, ma quella di garantire una più rapida, ma comunque equa, escussione della garanzia immobiliare senza dover ricorrere alle lungaggini giudiziarie. A conferma di ciò, depone anche la restante disciplina prevista dall'art. 120 quinquiesdecies. In particolare viene espressamente previsto che il valore del bene immobile oggetto della garanzia debba essere stimato da un perito indipendente scelto dalle parti di comune accordo ovvero, in caso di mancato raggiungimento dell'accordo, nominato dal Presidente del Tribunale territorialmente competente con le modalità  di cui al terzo comma dell'articolo 696 c.p.c., con una perizia successiva all'inadempimento. Inoltre viene previsto che il finanziatore non possa, in ogni caso, condizionare la conclusione del contratto di credito alla sottoscrizione della clausola. Qualora, tuttavia, il consumatore decida di sottoscriverla, ha diritto ad essere assistito, a titolo gratuito, da un consulente al fine di valutarne la convenienza. In ogni caso una siffatta clausola non può essere pattuita in caso di surrogazione nel contratto di credito ai sensi dell'articolo 120-quater. Lo stesso articolo fornisce, poi, una chiave ermeneutica su cosa costituisca inadempimento, ritenendo necessario in tal senso il mancato pagamento di un ammontare equivalente a diciotto rate mensili, non costituendo, al contrario, inadempimento i ritardati pagamenti che consentono la risoluzione del contratto ai sensi dell'articolo 40, comma 2. A chiusura della disciplina sull'inadempimento del consumatore, il Decreto Mutui prevede, infine, che per tutte le ipotesi non incluse permane per il finanziatore la possibilità  di far ricorso all'espropriazione immobiliare, precisando che, se a seguito dell'escussione della garanzia residui un debito a carico del consumatore, il relativo obbligo di pagamento decorre dopo sei mesi dalla conclusione della procedura esecutiva. Se queste sono le coordinate offerte dal nuovo testo dell'art. 120 quinquiesdecies T.U.B., permangono alcuni dubbi circa talune previsioni in essa contenute. La legge ha rimesso al Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della giustizia, e sentita la Banca d'Italia, il compito di dettare le disposizioni di attuazione in ordine ad alcuni punti fondamentale della disciplina. Come già  sottolineato, in attesa dell'emanazione delle disposizioni attuative, si possono solo fare alcune considerazioni preliminari e generali, basate sul nuovo teso di legge, su quale sarà  la disciplina finale. Innanzitutto non appare chiaro quale sia la procedura da adottare per la vendita ma si può ragionevolmente ritenere, data la ratio di semplificazione della riforma, volta a offrire uno strumento di escussione stragiudiziale più semplice e veloce delle garanzie immobiliari, che le norme di attuazione disciplineranno le modalità  e le tempistiche di realizzo della vendita privata dell'immobile. Anche sullo stesso concetto di vendita privata, però, possono sorgere alcune perplessità , ed in particolare appare utile domandarsi se il finanziatore possa ricorrere alla delega al notaio per procedere alle aste telematiche notarili o ad altre procedure competitive di vendita. Alcuni dubbi sono stati sollevati anche in relazione al rapporto, concorrente o escludente, con il potere di risoluzione già  riconosciuto dalla stessa legge ai sensi dell'art. 40 comma 2 T.U.B. previsto nell'ipotesi di ritardato pagamento, che prevede come presupposto applicativo un ritardo nei pagamenti verificatosi almeno 7 volte anche non consecutive. Quel che è certo per ora sono i soggetti coinvolti: il debitore, il finanziatore e l'acquirente dell'immobile oggetto di garanzia. Ma occorrerà  anche tener conto di altri eventuali creditori. La normativa secondaria dovrà  anche occuparsi del ruolo del notaio ed eventualmente anche del giudice qualora si renda necessario il suo intervento in caso di contrasti nati tra creditore e debitore. Un altro dubbio può nascere sul potere residuo in capo al consumatore di procedere alla vendita dell'immobile in un momento successivo all'inadempimento, ovvero se possa procedere lui stesso alla vendita del bene e successivamente all'estinzione del debito o se, una volta convenuta con la banca la clausola di patto marciano, dopo l'inadempimento, gli sia preclusa definitivamente la possibilità  di procedere personalmente alla vendita. La questione più problematica, però, secondo i primi riscontri, attiene forse alla legittimazione alla vendita in capo al finanziatore. La legge prevede, infatti, solo la possibilità  di introdurre nel contratto di mutuo una clausola contenente la facoltà  di procedere alla vendita in caso di inadempimento, ma non accenna alle problematiche relative alla legittimazione. Le vie percorribili sono molteplici. Occorre capire se si possa prevedere un trasferimento sospensivamente condizionato all'inadempimento (come già  previsto per le imprese ex art. 48 bis T.U.B), oppure un mandato irrevocabile alla vendita. O ancora se sia consentita una vendita senza previo trasferimento della proprietà  dell'immobile al finanziatore o altra soluzione giuridica che comunque ponga il finanziatore nella condizione di poter vendere legittimamente il bene.

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    24 agosto 2016

    Abusi edilizi: l'ordine di demolizione di una...

    È di questi giorni la sentenza della Corte di Cassazione che conferma l'imprescrittibilità  dell'ordine del giudice di demolizione di una costruzione abusiva. Questo perchè da un punto di vista giuridico occorre tenere ben distinti il reato di abuso edilizio, che si prescrive in 4 o 5 anni a seconda che vi sia stato un atto interruttivo o meno (come ad esempio il decreto di citazione a giudizio), dall'ordine di demolizione dell'opera abusivamente realizzata che, al contrario, non si prescrive mai. Le ragioni di tale differenza risiedono nel fatto che l'ordine di demolizione rimane pur sempre una sanzione amministrativa (anche nel caso in cui sia disposto all'interno di un processo penale) e come tale non soggetta alle generali regole sulla prescrizione dei reati. La sua principale funzione, infatti, non è quella di punire l'autore del reato ma quella di ristabilire lo stato dei luoghi precedente alla costruzione abusivamente realizzata. Questo vuol dire che, anche qualora il processo penale si sia concluso con prescrizione e l'autore dell'abuso edilizio vada esente da condanna penale, può essere comunque raggiunto dall'ordine di demolizione dell'opera abusiva, anche se sono passati ormai diversi anni dalla commissione dell'abuso edilizio.

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