A favore del coniuge, dei figli e, in mancanza di questi ultimi, degli ascendenti, la legge riserva una quota di eredità, la c.d. legittima. Attraverso tale istituto si pone un limite alla piena facoltà di disporre del testatore, riconoscendo ai soggetti summenzionati (cc. dd. legittimari) il diritto di succedere al de cuius, nei limiti di una certa quota del suo asse ereditario, a prescindere dalla volontà di quest’ultimo.

In caso di attribuzioni lesive dei diritti dei legittimari, è previsto in loro favore e contro i beneficiari del testamento e i donatari il rimedio costituito dall’azione di riduzione, la quale mira ad ottenere una pronuncia dell’autorità giudiziaria recante riduzione, in tutto o in parte, dell’attribuzione fatta dal defunto sino alla misura necessaria alla reintegra del diritto del legittimario leso.

Per poter stabilire se il testatore abbia leso i diritti spettanti a qualcuno dei legittimari, occorre calcolare l’entità del suo patrimonio all’epoca dell’apertura della successione. Il procedimento di calcolo può essere diviso in tre fasi:

  1. si calcola il valore dei beni che appartenevano al defunto all’epoca dell’apertura della successione (relictum);
  2.  dalla somma che ne risulta si detraggono i debiti facenti capo al de cuius;
  3. la fase della “riunione fittizia”: al risultato ottenuto, si aggiungono i beni di cui il testatore abbia eventualmente disposto in vita a titolo di donazione, secondo il loro valore attualizzato alla data di apertura della successione. 

Sull’asse determinato all’esito dei conteggi si calcola la quota di cui il testatore poteva disporre. Se da tali calcoli risulta che le disposizioni testamentarie o le donazioni eccedono la quota di cui il testatore poteva disporre, ciascun legittimario può agire per la riduzione entro dieci anni dalla accettazione dell’eredità da parte del legittimario.

L’azione di riduzione opera nel modo seguente:

  • sono colpite per prime le disposizioni testamentarie (istituzioni di eredi e di legati), che vengono diminuite proporzionalmente, salvo che il testatore abbia diversamente disposto in previsione dell’esperimento dell’azione di riduzione;
  • se la riduzione delle disposizioni testamentarie non è sufficiente ad integrare la legittima, si procede alla riduzione delle donazioni, cominciando dall’ultima in ordine di tempo e risalendo via via a quelle anteriori. Cosa accade una volta accertata la lesione della legittima?

La sentenza di accoglimento dell’azione di riduzione non rappresenta per il legittimario un titolo traslativo del bene oggetto della disposizione testamentaria o della liberalità. Affinché egli consegua il bene cui ha diritto, dovrà agire contro il possessore sine causa per ottenerne la restituzione. Quest’ultimo potrebbe essere sia l’onorato testamentario o il donatario assoggettati a riduzione, sia un terzo avente causa.

  • nel primo caso, la legge prevede che i beni immobili o beni mobili registrati restituiti in conseguenza della riduzione sono liberi da ogni peso od ipoteca di cui il legatario o il donatario possa averli gravati (c.d. effetto purgativo), salvo che la riduzione sia stata domandata dopo venti anni dalla trascrizione della donazione (in tal caso il legittimario leso ha un mero diritto di credito verso il donatario, pari al minor valore dei beni che egli ha in restituzione) e purché la domanda sia stata proposta entro dieci anni dall’apertura della successione;
  • nel secondo caso, è possibile ottenere la restituzione dal terzo avente causa, ma solo a determinate condizioni:
  1. il bene oggetto dell’attribuzione ridotta deve essere stato alienato dal donatario, dal legatario od erede;
  2. il donatario, il legatario o l’erede devono essere stati preventivamente e infruttuosamente escussi dal legittimario;
  3. non devono essere trascorsi più di vent’anni dalla trascrizione della donazione (se l’oggetto è un bene immobile);
  4. l’azione deve proporsi secondo l’ordine cronologico delle alienazioni, cominciando dall’ultima. 

Il terzo acquirente può liberarsi dall’obbligo di restituire le cose donate pagando l’equivalente in denaro. 

Il terzo acquirente del donatario (e il terzo creditore ipotecario o titolare del peso gravante sull’immobile), è, dunque, nei limiti suddetti, al riparo da pretese dei legittimari del donante, salvo che questi ultimi non si avvalgano dell’istituto dell’opposizione alla donazione.

L’effetto dell’opposizione è che il termine ventennale oltre il quale non è possibile chiedere la restituzione del bene al terzo acquirente (ovvero non si verifica l’effetto purgativo dei pesi e delle ipoteche) rimane sospeso; anche l’opposizione è soggetta ad un’efficacia temporanea (venti anni), salva la possibilità di rinnovazione. 

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Foto di Werner Heiber da Pixabay

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