In base alla legge in materia edilizia, alcuni atti sono nulli e non possono essere stipulati in assenza delle necessarie menzioni urbanistiche.

In particolare la legge prevede che gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione sia iniziata dopo una certa data, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del titolo urbanistico in virtù del quale sono stati costruiti.

Qualora ciò avvenga, rimane pur sempre la possibilità , nel caso in cui la mancata indicazione in atto degli estremi non sia dipesa dalla insussistenza stessa del provvedimento autorizzatorio, di poter confermare tali atti, anche ad opera di una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa.

Se queste sono le coordinate legislative in tema di menzioni urbanistiche necessarie ai fini della validità  dell'atto, quello che occorre capire è se tale obbligo valga anche nel caso di scioglimento della comunione ereditaria.

Sul punto è intervenuta una recente sentenza di Cassazione[1], che ha analizzato i rapporti tra la divisione ereditaria e, appunto, la normativa all'epoca vigente in materia urbanistica prevista dall'art. 17 Legge 47/85, il quale comminava la nullità  in caso di assenza della menzione dei titoli urbanistici necessari.

La questione va risolta volgendo lo sguardo alla natura giuridica che si voglia riconoscere alla divisione ereditaria, se di atto inter vivos o mortis causa.

Qualora infatti si optasse per la qualificazione della stessa in termini di atto inter vivos, non vi sarebbero riscontri letterali per poter escludere la divisione ereditaria dall'ambito di applicazione della nullità  sancita dall'art. 17 Legge 47/85.

Tuttavia la Corte di Cassazione ha optato per la seconda opzione ermeneutica, ovvero per la qualificazione della divisione ereditaria in termini di atto mortis causa, pur precisando tuttavia che la disciplina applicabile al caso portato alla sua attenzione sarebbe stato l'art. 40 e non già  l'art. 17 della Legge 47/85, in ragione dell'epoca della sua costruzione.

Ma in disparte l'aspetto prettamente normativo della disposizione applicabile, quello che qui preme sottolineare è il principio espresso dalla Corte, consistente nella considerazione per cui nelle ipotesi di nullità  sancite dal legislatore per assenza delle necessarie menzioni urbanistiche non rientra la fattispecie negoziale della divisione ereditaria.

In particolare, afferma la Corte che restano esclusi non solo tutti gli atti mortis causa, ma anche "("¦) quelli non autonomi rispetto ad essi tra i quali si deve ritenere compresa anche la divisione ereditaria, quale atto conclusivo della vicenda successoria".

Le ragioni giuridico-argomentative per cui gli Ermellini pervengono a tale conclusione, quindi, si fondano su una interpretazione letterale e sistematica della legge, che spinge a ritenere che la divisione ereditaria non sia uno di quegli atti assoggettati alla sanzione della nullità  per assenza delle menzioni urbanistiche previste dalla legge. Il riferimento effettuato dalla legge allo "scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o a loro parti" deve, infatti, ritenersi limitato solamente agli atti tra vivi.

La divisione ereditaria, pertanto, una volta qualificata come negozio mortis causa non può più quindi esservi ricompresa.

[1] Corte di Cassazione, sentenza n. 20041 del 6 ottobre 2016.

In base alla legge in materia edilizia, alcuni atti sono nulli e non possono essere stipulati in assenza delle necessarie menzioni urbanistiche.
In particolare la legge prevede che gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione sia iniziata dopo una certa data, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del titolo urbanistico in virtù del quale sono stati costruiti.