Cassazione, sentenza 20 novembre 2019, n. 30246, sez. II civile. 

Il mandato a vendere “in rem propriam” preclude al mandante la possibilità di alienare direttamente il bene, come si desume dagli artt. 1723, comma 2, e 1724 c.c.; è, in tale ipotesi, essenziale a pena di nullità, la previsione di un termine ultimo di durata del mandato, decorso il quale l’incarico deve intendersi cessato, attesa la disposizione di portata generale prevista nell’art. 1379 c.c., applicabile anche a pattuizioni che comportino comunque limitazioni incisive del diritto di proprietà. Il mandato “a tempo indeterminato” per il compimento di un dato atto negoziale, come il mandato ad alienare, contemplato dal comma 2 dell’art. 1725 c.c., non è “senza termine”, ma è conferito per una serie indeterminata di atti. Esso, ai sensi dell’art. 1722, n. 1, c.c. si estingue con la scadenza del termine prefissato dalle parti o determinato, in mancanza, dal giudice, ai sensi dell’art.   1183   c.c.   su   istanza   della   parte   che   vi    ha    interesse.    Nella fattispecie la Suprema Corte, sul presupposto che la durata del mandato doveva ritenersi correlata ai medesimi limiti cronologici che connotavano i concorrenti diritti sull’area, ha cassato la pronuncia di merito che, pur avendo accertato la mancata realizzazione del programma negoziale, consistente nella costruzione di un porto, aveva ritenuto estinti i diritti a costruire, ma, pur tuttavia, non soggetto a prescrizione il mandato irrevocabile, reso anche nell’interesse del mandatario, ad alienare le porzioni di un terreno in contesa.

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