Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 9 agosto 2016, n. 16675

Cosa cambia per il cittadino

Le operazioni di merger leveraged buy-out sono operazioni finanziarie con cui, al fine di acquisire una società  (c.d. società  target), uno o più fondi di private equity costituiscono una società  (c.d. società  veicolo), capitalizzandola parzialmente in modo diretto e parzialmente ricorrendo a un indebitamento (leveraged) garantito dagli asset della stessa società  target. Successivamente all'acquisizione del pacchetto di maggioranza o della totalità  delle azioni della società  target, quest'ultima e la società  veicolo sono oggetto di fusione.

La Corte di Cassazione è intervenuta sull'argomento affermando come tale procedura non costituisca, nemmeno in base alla previgente disciplina ante riforma del diritto societario, comportamento elusivo e dunque abuso del diritto.

Tale considerazione, che sicuramente in parte risente anche del mutato contesto normativo di riferimento, si pone in linea con le successive riforme legislative che hanno investito il settore tributario e societario. In tal senso di recente anche l'Agenzia delle Entrate ha emanato una circolare (Circolare n. 6/E del 30 marzo 2016) in cui ha affermato che le operazioni di merger leveraged buy-out difficilmente possono essere considerate finalizzate essenzialmente al conseguimento di indebiti vantaggi fiscali e dunque elusive.

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Il fatto

Il socio di maggioranza (al 53,41%) di un'importante azienda, d'intesa con i soci di minoranza, aveva individuato un fondo di private equity disposto a realizzare un'operazione di leveraged buy-out consistente nell'acquisto, tramite una newco, dell'intero capitale sociale della società  partecipata, che versava in situazione di difficoltaÌ€ finanziaria, ad un prezzo identico per ogni azione acquistata, a prescindere se dai soci di minoranza o di maggioranza.

Successivamente, con un accordo parallelo, tutti i soci avevano rinunciato reciprocamente all'esercizio del diritto di prelazione previsto nello statuto ed i soci di minoranza si erano riconosciuti debitori nei confronti del socio di maggioranza per un elevato importo, in considerazione anche del fatto che il prezzo offerto dal fondo di private equity era stato determinato tenendo conto anche di un premio di maggioranza in considerazione della parallela operazione del socio maggioritario con la società  che gestiva il fondo di private equity.

Tale operazione era stata però ritenuta elusiva ai sensi dell'art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, in quanto in realtà  mascherante il versamento di un corrispettivo per la prestazione di servizi consistita nel "permettere di fare", ossia nella rinuncia da parte del socio di maggioranza ad esercitare il proprio diritto di prelazione sulle azioni oggetto di cessione.

Le ragioni giuridiche

Oggi questo genere di operazioni è espressamente ammesso e disciplinato dal Codice civile, il quale, all'art. 2501 bis c.c., prevede che "nel caso di fusione tra società , una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell'altra, quando per effetto della fusione il patrimonio di quest'ultima viene a costituire garanzia generica o fonte di rimborso di detti debiti, si applica la disciplina del presente articolo".

Tuttavia tale disciplina, come noto, è stata inserita con la riforma del diritto societario, mentre il caso oggetto di decisione da parte della Suprema Corte ricadeva nell'ambito di applicazione della previgente legislazione. Pertanto la Corte di Cassazione si è trovata a dover valutare se l'operazione di merger leveraged buy-out sottoposta alla sua attenzione potesse essere o meno qualificata come un comportamento elusivo e dunque violativo dell'art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973.

In particolare, secondo la Corte di Cassazione, sarebbe fondata la censura mossa alla sentenza del giudice d'appello, circa la mancanza di un nesso tra la ricostruzione della vicenda e l'asserita natura abusiva dell'operazione, non avendo il giudice d'appello evidenziato l'intento delle parti di ottenere un indebito vantaggio fiscale, che è il fondamento stesso delle operazioni di carattere elusivo, sulla scorta del pacifico orientamento giurisprudenziale per cui "eÌ€ ravvisabile elusione nell'operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco, siccheÌ€ il divieto di siffatte operazioni non opera qualora esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, fermo restando che incombe sull'Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalitaÌ€ di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale" (ex plurimis, Cass. 4603/14 e 21390/12; da ultimo, Cass. 10458/16). Ed in tal senso certamente l'art. 10 bis della Legge n. 212/00, pur non essendo applicabile ratione temporis, rappresenta, secondo la Corte, "indubbiamente un termine interpretativo di riferimento, sia pure in chiave evolutiva".

Inoltre secondo la Corte di Cassazione il giudice di appello avrebbe anche omesso di individuare i caratteri concreti di quello che sarebbe stato il "comportamento elusivo", soprattutto alla luce del fatto che il divieto di comportamenti abusivi non vale se "quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi d'imposta".

Per quanto attiene, infine, l'onere della prova, la Corte di Cassazione precisa che la prova, sia del disegno elusivo sia delle modalità  di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici utilizzati al solo fine di pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull'Amministrazione finanziaria, sottolineando, inoltre, che non eÌ€ configurabile abuso del diritto se non sia stato provato dall'ufficio il vantaggio fiscale che sarebbe derivato al contribuente accertato dalla manipolazione degli schemi contrattuali classici.

Al contrario, sul contribuente grava solamente l'onere di allegare l'esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate.

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Le operazioni di merger leveraged buy-out sono operazioni finanziarie con cui, al fine di acquisire una società  (c.d. società  target), uno o più fondi di private equity costituiscono una società  (c.d. società  veicolo), capitalizzandola parzialmente in modo diretto e parzialmente ricorrendo a un indebitamento (leveraged) garantito dagli asset della stessa società  target. Successivamente all'acquisizione del pacchetto di maggioranza o della totalità  delle azioni della società  target, quest'ultima e la società  veicolo sono oggetto di fusione.