Il potere di rappresentanza è generalmente conferito mediante procura al rappresentante dal rappresentato nell’interesse di quest’ultimo. Tuttavia, non si esclude che esso possa essere consapevolmente conferito anche nell’interesse del rappresentante o di terzi (c.d. procurator in rem suam): ciò avviene, ad esempio, nel caso in cui il debitore incarichi i creditori o alcuni di essi di liquidare tutti o parte dei suoi beni e di ripartire tra i creditori medesimi il ricavato in soddisfacimento dei loro crediti. In tale caso, il compimento del negozio rappresentativo soddisfa contemporaneamente gli interessi di rappresentato e di rappresentante, interessi che si dimostrano tra loro convergenti.

Potrebbe, al contrario, accadere che il rappresentante sia portatore di interessi propri o di terzi incompatibili con quelli del rappresentato, e che, quindi, si verifichi un conflitto di interessi.

Un tipico caso di conflitto di interessi è il c.d. “contratto con se stesso”, un negozio giuridico bilaterale in cui le due dichiarazioni di volontà, necessarie per la sua conclusione, provengono da un unico soggetto che riassume in sé le posizioni di entrambe le parti, agendo in base a titoli diversi e come portatore di due opposti interessi. Detta figura ricorre in due casi:

  • autocontratto: il rappresentante conclude il contratto in proprio (ad esempio, un rappresentante del venditore che acquista per sé la merce che il venditore intende alienare);
  • doppia rappresentanza: il rappresentante di una parte conclude il contratto con se stesso in qualità di rappresentante di un terzo (un procuratore che rappresenta al tempo stesso sia il compratore sia il venditore).

Poiché nel contratto con se stesso i ruoli delle parti sono recitati da un unico soggetto, la legge sanziona con l’annullabilità l’atto compiuto, a meno che non ricorrano talune condizioni legittimanti tali da escludere, in concreto, il conflitto di interessi.

La presunzione di conflitto di interessi può essere vinta dimostrando:

  • che il rappresentato abbia specificatamente autorizzato il rappresentante;
  • che il contenuto del contratto sia stato preventivamente determinato dal rappresentato in guisa da escludere la possibilità di conflitto.

Sebbene le due condizioni siano alternative, si ritiene che l'autorizzazione data dal rappresentato al rappresentante a concludere il contratto con sé stesso possa considerarsi idonea ad escludere la possibilità di conflitto di interessi - e, quindi, l'annullabilità del contratto - solo allorquando sia accompagnata da una determinazione degli elementi negoziali sufficienti ad assicurare la tutela del rappresentato medesimo. La validità del contratto è legata, dunque, alla indicazione nella procura dei requisiti minimi negoziali in virtù dei quali il rappresentante può contrarre con se stesso perché, diversamente, l’interesse perseguito finirebbe per essere quello del rappresentante e non più quello del rappresentato.

Al rappresentato è riconosciuta, ad ogni modo, la possibilità di domandare l’annullamento del contratto – in considerazione del pericolo che il rappresentante persegua piuttosto il proprio interesse o quello dell’altro soggetto rappresentato – nel termine prescrizionale di cinque anni dalla data di conclusione del contratto.

Per l’annullamento del contratto è sufficiente che il rappresentato si limiti a dimostrare la semplice possibilità di danno, non avendo rilevanza che l’atto compiuto sia per lui vantaggioso o svantaggioso e non essendo necessario che egli provi di aver subito un concreto pregiudizio.

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