L'agibilità degli edifici oggi 

Il D.Lgs. n. 222/2016 ha modificato profondamente la normativa in tema di agibilità degli edifici.

L'agibilità non deve essere più rilasciata da parte del Comune, né si consegue mediante silenzio-assenso.

Viene ora autocertificata, per il tramite del Direttore dei lavori, entro quindici giorni dalla chiusura dei lavori stessi tramite una segnalazione certificata che si presenta allo Sportello unico per l'edilizia del Comune.

La novità importante sta soprattutto nel fatto che è cambiato il contenuto della certificazione di "agibilità".

Il certificato di agibilità attestava per definizione "la sussistenza delle condizioni di sicurezza, di igiene, di salubrità e risparmio energetico per le nuove costruzioni, le ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali e gli interventi sugli edifici già esistenti che influiscano sulle condizioni di sicurezza e di igiene".

L'attuale AUTO-certificazione di agibilità deve attestare anche la conformità della costruzione al progetto presentato.

Non ci si limita più, in altri termini, ad attestare l'idoneità dell'edificio ad essere utilizzato per l'uso cui è destinato sotto il profilo igienico-sanitario, della sicurezza e del risparmio energico: la segnalazione certificata di agibilità deve essere corredata sempre, come prima, dalla attestazione del direttore dei lavori sulle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico, ma anche dalla attestazione sulla conformità dell’opera al progetto presentato, nonché dal certificato di collaudo statico e dalla dichiarazione di conformità delle opere alla normativa in materia di accessibilità e superamento delle barriere architettoniche e dalla  dichiarazione dell'impresa installatrice sulla conformità degli impianti installati. 

Il D.L. n. 69/2013 - all'art. 30, co. 1, lett. g) - aveva già introdotto anche la fattispecie della “agibilità parziale”, che riguarda solo una o più porzioni di più ampio fabbricato che sia/siano autonome funzionalmente o solo alcuni edifici nell’ambito di più ampi complessi immobiliari; si tratta, in realtà, di una figura che era già ricorrente nella pratica.

Può essere utile ricordare per inciso che, per sgomberare il campo da qualsiasi equivoco sul piano concettuale ed applicativo,  il T.U. D.P.R. n.380/2001 aveva ridotto ad unità i termini di agibilità ed abitabilità. Dal 2001 in poi, quindi, si può parlare indifferentemente di abitabilità o di agibilità per far riferimento al medesimo concetto. Tale riconduzione ad unità fu opportuna perché in passato si era spesso fatto confusione, dal momento che la giurisprudenza e la dottrina facevano riferimento al concetto di "abitabilità" in relazione ai fabbricati destinati ad essere - appunto - abitati, mentre al concetto di "agibilità" per tutti gli altri edifici ad uso non residenziale - uffici, esercizi pubblici e commerciali, opifici.  

Attualmente la presentazione della segnalazione certificata di agibilità da parte del tecnico abilitato crea, pertanto, una presunzione di conformità urbanistico/edilizia, che è presunzione “iuris tantum” in quanto fondata su una dichiarazione di parte privata e non su un procedimento pubblico di accertamento di conformità.  

In giurisprudenza si era storicamente sostenuto, nel sistema previgente, che la conformità dell'opera al progetto edilizio ed agli strumenti urbanistici vigenti fosse condizione necessaria per il rilascio del certificato di agibilità; tuttavia, la legge non richiedeva espressamente tale presupposto, cosicchè il Comune, ai fini del rilascio del certificato stesso, non era per legge tenuto ad accertare la regolarità urbanistica ed edilizia del fabbricato. La dichiarazione e la documentazione con riguardo alla conformità edilizia spettava al richiedente, senza coinvolgimento diretto del Comune che, sulla base di quella dichiarazione e quella documentazione, rilasciasse l'agibilità.

Resta in ogni caso fermo, anche dopo la modifica normativa, che la agibilità, pur incidendo sulla possibilità di adibire legittimamente la cosa all'uso previsto, non sia condizione necessaria per la commerciabilità di un immobile, né per la validità dei relativi atti di trasferimento. 

Ciò significa che si puo' trasferire legittimamente un edificio privo della agibilità (in presenza dei presupposti per ottenerla/dichiararla) o anche privo dei requisiti prescritti per la agibilità stessa quando l'acquirente ha interesse in ogni caso ad acquistare l'immobile.

E', tuttavia, molto opportuno che nel caso di trasferimento di un immobile privo della agibilità, si regolamenti tale aspetto tra le parti specialmente al fine di evitare future contestazioni. 

Va tenuto conto che è consolidata la giurisprudenza secondo la quale la vendita di un immobile abitativo privo dell'agibilità non è nulla per illiceità dell'oggetto, ma ben legittima la richiesta della risoluzione quando risulti, anche solo implicitamente, che il venditore aveva in qualche modo assunto l'obbligo dell'agibilità.  

Un atto avente ad oggetto il trasferimento di un immobile privo del certificato di agibilità o addirittura privo dei requisiti prescritti per la agibilità è valido e ricevibile, perché deve esser chiaro che la regolarità urbanistico-edilizia e la agibilità di un immobile oggetto di contratto si pongono su due piani distinti e autonomi. 

L'art. 46 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (già art. 40 della L. 28 febbraio 1985 n. 47) prescrive a pena di nullità la menzione nell’atto di alienazione del titolo abilitativo in virtù del quale l’immobile è stato realizzato, mentre nello stesso testo di legge non è imposta alcuna menzione della documentazione attestante e/o comprovante la agibilità dell'immobile. 

Benchè la agibilità non incida sulla commerciabilità giuridica di un fabbricato, essa finisce in ogni caso per incidere su quella che viene qualificata come commerciabilità “economica”. E', infatti, la agibilità il presupposto per la utilizzabilità di un fabbricato per l'uso cui è destinato.  

Tuttavia, l'acquirente ben può essere interessato ad acquistare un immobile che sia privo della agibilità, anche se la presenza o meno della agibilità puo' incidere sulle condizioni di vendita, e, specificamente, sulla determinazione del prezzo. Anche se va tenuto in debito conto - anche ai fini della determinazione dell'ammontare del corrispettivo - che la mancanza della certificazione non comporta necessariamente la assenza in concreto della agibilità: occorre, cioè, distinguere tra assenza di certificazione e assenza di requisiti per poter certificare la agibilità.

La Cassazione, chiamata a valutare la responsabilità del notaio che aveva ricevuto un atto di compravendita di immobile privo dei requisiti prescritti dalla legge per la abitabilità/agibilità  - con sentenza n. 10296 del 21/6/2012 - ha affermato che il notaio incaricato della stipula di un atto di compravendita immobiliare risponde dei danni sofferti dall’acquirente derivanti dalla assenza dei requisiti per il rilascio del certificato di abitabilità - non rilevando che la mancanza di quei requisiti potesse essere accertata anche dallo stesso acquirente agevolmente - quando non venga provato che il professionista aveva informato l'acquirente stesso della situazione e delle sue possibili conseguenze; nel caso all'attenzione della Suprema Corte il notaio è stato sanzionato non già perchè aveva ricevuto l'atto, ma perchè era venuto meno al proprio dovere professionale di informazione e di consulenza. 

Più recentemente, la sentenza della Cassazione n.14618 del 13/6/2017 ha affermato sì che "il quadro della responsabilità professionale del notaio ha subìto una evoluzione nel tempo, ricomprendendo in essa non soltanto i tradizionali accertamenti catastali e gli altri relativi alla commerciabilità dell’immobile, ma estendendo anche - in casi specifici - l’obbligo di diligenza all’accertamento della dichiarazione di abitabilità dell’immobile, precisando, tuttavia, che "Il notaio non la l'obbligo di doversi far carico, pero', dell’accertamento di veridicità di una qualità del bene non incidente sulla commerciabilità dello stesso".

La Cassazione ha ritenuto, con riguardo alla posizione del notaio rispetto alla dichiarazione di abitabilità dell’immobile, che non si possa risolvere in termini generali la questione sull'obbligo di accertamento, ma va fatto un apprezzamento caso per caso delle circostanze del singolo contratto. Nella fattispecie presa in esame dalla Cassazione con la sentenza n. 24733/2017, per esempio, c'era un atto d’obbligo di non mutare la destinazione di uso del bene e la Corte ha statuito che fosse obbligo del notaio verificare la questione della abitabilità ed informarne il cliente preventivamente, inquadrando nell’obbligo di informazione e consiglio relativamente agli elementi che possono inficiare la commerciabilità del bene perché sia assicurata la serietà e certezza dell’atto giuridico da rogarsi.

Mentre in materia di libertà da ipoteche e altri vincoli, il notaio non puo' limitarsi a recepire le dichiarazioni di parte, ma ha l'obbligo di verificare le condizioni di libertà del bene, in materia di abitabilità non si è dinanzi ad un requisito che incide sulla commerciabilità e la cui mancanza impedisca il trasferimento. Cio' comporta che il notaio è tenuto, cioè, ad informare il cliente sui dati rilevanti per il perfezionamento del contratto, ma, in presenza di una attestazione di agibilità, non può - e non deve - sostituirsi ad un tecnico con competenze ingegneristiche per valutare in autonomia se un immobile sia o meno abitabile e di quella dichiarazione non puo', pertanto, assumere la responsabilità. L'obbligo del notaio non puo' essere quindi esteso alla verifica della abitabilità/agibilità.

Il notaio che debba ricevere un atto di trasferimento di immobili urbani è tenuto, quindi, sempre a richiedere la certificazione di agibilità e, nel caso in cui il bene sia sprovvisto della agibilità, ha l'obbligo di informare l'acquirente delle conseguenze. 

La giurisprudenza recente (per es., tra le ultime, Cassazione 30/01/2017, n. 2294)  afferma la responsabilità contrattuale dell’alienante di bene privo di agibilità per consegna di "aliud pro alio", con la conseguenza prescrizione in dieci anni dell'azione che puo' esperire l'acquirente. Pertanto, la qualificazione del mancato rilascio dell'agibilità come consegna di aliud pro alio (ovvero la consegna di una cosa diversa da quella promessa) legittima il compratore alla richiesta non solo del risarcimento del danno, ma anche della risoluzione del contratto (cfr. anche Cass. 20/1/1996 n. 442; Cass. 23/1/2009 n. 1701).

La sentenza citata ha escluso, peraltro, che la mancanza della agibilità possa ritenersi sanata dalla circostanza che il venditore abbia alla data dell'atto di trasferimento già presentato al comune richiesta di condono per sanare l’irregolarità amministrativa dell’immobile o che l’immobile sia stato concretamente impiegato fino a quel momento ad uso abitativo.

  

Rubina De Stefano, Notaio a Salerno 

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