Ai sensi dell’art. 159 c.c. il regime patrimoniale legale della famiglia, in assenza di diversa convenzione è quello della comunione legale. Dunque, secondo questa norma, tale regime diviene automaticamente operante all’atto di matrimonio, salvo il caso in cui siano i coniugi a derogarvi espressamente con un’apposita convenzione.

Il regime della comunione legale è entrato in vigore il 20 settembre 1975 con la L.19-5-1975 n. 151 (cd. Riforma del diritto di Famiglia): in precedenza, infatti, il regime legale era quello della separazione dei beni e per instaurare la comunione occorreva un apposito negozio di comunione convenzionale.

La ratio ispiratrice di questo istituto è stata di volta in volta ravvisata nell’eguaglianza giuridica e morale dei coniugi, nonché nel carattere comunitario della famiglia.

Si ritiene[1], inoltre, che, quanto alla natura giuridica, si tratti di una vera e propria comunione, differente dalla comunione ordinaria, poiché “senza quote”, in cui i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto i beni della comunione stessa[2]. A ben vedere, infatti, argomentando dall’art. 189 c.c., i coniugi sono titolari solidalmente di un diritto avente ad oggetto i beni della comunione (cd. Indisponibilità della quota), mentre nella comunione ordinaria si diventa titolari per quote, anche diseguali.

Dunque, a titolo esemplificativo, qualora due soggetti siano tra loro coniugati in regime di comunione legale dei beni, durante la vigenza di detto regime, ciascuno non potrà disporre di una quota, ma solo dell’intero bene comune, previo consenso dell’altro coniuge, così come previsto dall’articolo 180, secondo comma, c.c., per gli atti di straordinaria amministrazione.

Questione di particolare importanza in tema di comunione legale è la distinzione fra beni che entrano immediatamente in comunione legale (cd. Comunione immediata), i beni che cadranno in comunione, nella misura in cui sussisteranno al momento dello scioglimento della comunione (cd. Comunione de residuo), ed i beni che rimarranno nella titolarità di ciascun coniuge (cd. Beni personali).

Ai sensi dell’art.177 c.c. costituiscono oggetto della comunione legale i beni acquistati congiuntamente o separatamente durante il matrimonio. Orbene, secondo la dottrina prevalente e la giurisprudenza della Cassazione[3], l’inclusione del bene nella comunione è un effetto ope legis dell’acquisto compiuto; si tratterebbe, pertanto, non già di un ritrasferimento, ma di un co-acquisto in favore del coniuge non partecipante all’atto.

Da un punto di vista pratico, le conseguenze di questa automaticità sono di non poco conto, soprattutto in tema di trascrizione dell’acquisto. In caso di bene acquistato da uno solo dei coniugi, con un atto trascritto solo in favore del coniuge contraente, che dovrà successivamente essere venduto ad un terzo, il notaio che riceverà l’atto dovrà verificare non solo la provenienza, attraverso le visure ipotecarie e catastali, ma anche se il venditore era coniugato all’atto di acquisto del bene. Se, infatti, il venditore era coniugato e non risulta a margine dell’atto di matrimonio la convenzione in deroga a detto regime, al contratto di compravendita dovrà partecipare anche il coniuge non acquirente, in mancanza l’atto sarà annullabile ex art. 184 c.c.

L’art.179 c.c., invece, disciplina i cd. beni personali, sui quali le principali dispute dottrinali hanno riguardato il consenso del coniuge non acquirente e la possibilità del cd. rifiuto del coacquisto.

Il secondo comma dell’art. 179, c.c., stabilisce che l’acquisto di beni immobili o mobili elencati nell’art.2683, effettuati dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge.

Dunque, in queste tre ipotesi (beni immobili e mobili registrati di uso strettamente personali; beni che servono all’esercizio della professione di uno dei coniugi; acquisto effettuato con il prezzo del trasferimento dei beni personali o con il loro scambio) affinché il bene sia escluso dalla comunione legale occorrerà anche la partecipazione in atto del coniuge non acquirente.

Secondo la tesi seguita dalla Cassazione[4] e dalla preferibile dottrina[5], la dichiarazione del coniuge non acquirente, nonostante il dettato normativo (se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge), è una dichiarazione di scienza[6], con efficacia meramente ricognitiva, cioè volta riconoscere esclusivamente la natura personale del bene. Detto coniuge, secondo la costante prassi notarile, dovrà intervenire contestualmente all’atto di acquisto e fornire la dichiarazione di esclusione.

Altra creazione di matrice giurisprudenziale è quella del rifiuto del coacquisto.

Tale costruzione deriva da una sentenza della Cassazione[7] che ha stabilito che qualora un coniuge non desideri l’ingresso di un bene nella comunione legale, potrà sempre opporsi rendendo la dichiarazione di cui all’art.179 ult. comma c.c. Tuttavia, tale impostazione è stata aspramente criticata da altra parte della giurisprudenza di legittimità[8], poiché da nessuna disposizione legislativa è desumibile la possibilità che, in regime di comunione legale dei beni, uno dei coniugi possa efficacemente rinunziare alla contitolarità di un singolo bene al di fuori delle tassative ipotesi di cui all’art.179 cod. civ.

In effetti, a ben vedere, se si legittimasse un soggetto di poter escludere un bene dalla comunione legale, con una sua dichiarazione, si stravolgerebbe la ratio stessa dell’istituto della comunione legale (acquisto automatico), non si potrebbe assicurare un’adeguata tutela nei confronti dei terzi ed, infine, si ammetterebbe implicitamente la tanto discussa questione relativa all’estromissione di un singolo bene dalla comunione legale.

Per completezza e ad ulteriore conferma si segnala una sentenza della Cassazione a Sezioni Unite[9], secondo cui la dichiarazione del coniuge non acquirente avrebbe natura meramente confessoria (non negoziale), se resa ai sensi della lettera f), o di condivisione di intenti, se resa ai sensi delle lettere c) e d).

Avv. Vincenzo Cersosimo

[1] TAMBURRINO, Lineamenti del nuovo diritto di famiglia italiano, Torino, 1976, p.236; SANTOSUOSSO, Delle persone e della famiglia, in Commentario cod. civ., I, Torino, 1983.

[2] Corte Cost. 17 marzo 1988, n.311, in Giust. Civ., 1988, 2482

[3] Cass. 13 dicembre 1999, 13941; DE MARCHI, in Diritto di famiglia, società e contrattazione immobiliare, Milano, 1982, p.57, nota 3.

[4] Cass. 27 febbraio 2003, n.2954

[5] DE PAOLA-MACRÌ, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1978, p.139

[6] Devono, ormai, ritenersi superate le teorie dell’eventualità della partecipazione, e del consenso negoziale.

[7] Cass. 8 giugno 1989, n.2688

[8] Cass. 2954/2003 su richiamata

[9] Cass. SS.UU. 22775/2009;  Cass. Ordinanza 19 ottobre 2017,  n.24719, sez.II civ.

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