Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza n. 16268 del 30 giugno 2017

La legge prevede delle distanze minime tra le costruzioni al fine di evitare situazioni che, oltre che ledere la privacy altrui, possano mettere a rischio la sicurezza e la salute stessa delle persone creando intercapedini con scarso passaggio di aria e luce. Proprio per queste ragioni è normalmente imposto il rispetto di alcune distanze tra fabbricati, a meno che le costruzioni non siano unite o aderenti, come nel caso dei centri cittadini.

La Corte di Cassazione, recentemente pronunciandosi sulla questione, ha affermato come gli obblighi in materia di distanze minime non rilevino solamente per le nuove costruzioni ma anche per gli interventi di ristrutturazione, quando quest'ultimi rendano l'opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella originaria.

Pertanto quando ci si trova di fronte a una ristrutturazione radicale che abbia come risultato finale quello di modificare il volume del fabbricato o la sua collocazione per un avanzamento dello stesso, non ci si potrà  considerare esonerati dal rispetto delle distanze minime, come se si trattasse in tutto e per tutto di una nuova costruzione.

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Il fatto

La questione riguarda l'accertamento e la dichiarazione di illegittimità  di alcune finestre realizzate dai convenuti nell'immobile prospiciente e la conseguente condanna all'arretramento della costruzione e comunque al ripristino dello stato dei luoghi nonché naturalmente al risarcimento dei danni patiti. La Corte d'appello di Brescia, inizialmente, rigettava l'appello, ritenendo, in primo luogo, che solo in appello l'attore avesse dedotto che i convenuti avevano realizzato una nuova costruzione (e non una semplice ristrutturazione) e, in secondo luogo, che l'edificio dei convenuti fosse stato costruito prima dell'entrata in vigore del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, a sua volta recepito dall'articolo 22 delle N.T.A. del Piano regolatore del comune di Ghedi.

Le ragioni giuridiche

All'interno della decisione della Corte di Cassazione, quello che qui interessa sottolineare, è la questione dell'applicabilità  o meno della normativa in tema di distanze minime tra gli edifici anche alle ristrutturazioni.

La Corte di Cassazione sul punto è stata chiara, affermando un interessante principio per cui, ai fini del computo delle distanze legali dagli altri edifici, rientrerebbero nella nozione di "nuova costruzione"[1], a certe condizioni, anche gli interventi di ristrutturazione e non solamente le edificazioni di nuovi manufatti su area libera.

In particolare, secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione in questa interessante sentenza, la normativa sugli obblighi di distanza minima diverrebbe obbligatoria quando, in ragione dell'entità  delle modifiche apportate al volume ed alla collocazione del fabbricato, gli interventi sull'immobile rendano l'opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente.

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[1] Di cui alla L. 17 agosto 1942, n. 1150, articolo 41 sexies, anche ai fini dell'applicabilità  del Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9.

Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza n. 16268 del 30 giugno 2017 - La legge prevede delle distanze minime tra le costruzioni al fine di evitare situazioni che, oltre che ledere la privacy altrui, possano mettere a rischio la sicurezza e la salute stessa delle persone creando intercapedini con scarso passaggio di aria e luce. Proprio per queste ragioni è normalmente imposto il rispetto di alcune distanze tra fabbricati, a meno che le costruzioni non siano unite o aderenti, come nel caso dei centri cittadini.