La servitù di parcheggio

La Corte di Cassazione (Cass. 23708/2014) tornando sul tema della servitù di parcheggio e, confermando un orientamento consolidato, ha ribadito che la servitù di parcheggio (oggetto di quella specifica causa) sarebbe nulla per impossibilità dell’oggetto, mancando la “realitas” da intendersi quale inerenza dell’utilità al fondo dominante.

A ben vedere, tuttavia, la declaratoria di nullità riguarda la clausola contenuta nell’atto costitutivo della servitù portata all’attenzione della Corte, e non già la servitù di parcheggio in sé.

Stesso discorso va fatto con riferimento ad altre sentenze (Cass. 24510/2016 e Cass. 27442/2014) che non negano in assoluto la configurabilità di una servitù di parcheggio, ma si occupano di interpretare in maniera rigorosa gli atti posti alla base della pretesa, negando la sussistenza della servitù di parcheggio, ove ciò non risulti con precisione dai titoli.

La servitù volontaria è un diritto reale tipico (ossia previsto e disciplinato dal codice civile) ma a contenuto atipico (o meglio libero), in quanto l’utilità può essere liberamente determinata dalle parti. È ben possibile, quindi, che il “parcheggio” (cioè lo stazionamento senza limiti di tempo di determinati veicoli) possa rappresentare il contenuto dell’utilità di cui all’art. 1027 c.c..

La qualifica di diritto “reale” attribuisce l’opponibilità erga omnes della servitù medesima, caratteristica totalmente estranea alle figure limitrofe rappresentate dalle cd. “servitù personali” (assimilabili a diritti di usufrutto, uso e abitazione) e “servitù irregolari” (costitutive di rapporti obbligatori tra il proprietario di un immobile ed un soggetto creditore, sia o no esso proprietario di altro immobile).

La corretta formulazione di una clausola costitutiva di una servitù volontaria deve tener conto degli elementi essenziali del diritto de quo, e precisamente:

  • la specificità del godimento (ossia l’accurata e definita descrizione del tipo di utilità che il fondo dominante ricava sul fondo servente);
  • l’inerenza reale (da intendersi come inerenza del peso sul fondo servente e come inerenza dell’utilitas sul fondo dominante);
  • l’alterità soggettiva fra proprietario del fondo servente e proprietario del fondo dominante;
  • l’individuazione precisa del luogo in cui verrà esercitata la servitù (localizzazione).

Una clausola contrattuale che evidenzi questi punti fondamentali, sottolineando, in particolare, l’inerenza dell’utilità al fondo dominante e non al soggetto che, occasionalmente, ne risulta attualmente proprietario, e che individui in maniera precisa il luogo e le modalità di esercizio della facoltà che rappresenta l’utilitas oggetto di servitù, non sarebbe passibile di censura alcuna.

Qualche dubbio si può porre nel caso in cui l’intero fondo servente sia un’area destinata a parcheggio che a seguito della costituzione della servitù esaurisca integralmente l’utilità che il bene può dare al proprietario; in tal caso non si tratterà di una servitù, ma di un diritto diverso.

Criterio fondamentale, quindi, è che il diritto di proprietà sul fondo servente non risulti svuotato, residuando al relativo titolare il diritto di fare ogni e qualsiasi uso della cosa che non confligga con l’utilitas concessa.

In conclusione, è ammissibile una servitù di parcheggio la cui clausola costitutiva contenga gli elementi essenziali sopra elencatifermo restando il suddetto limite.

Alessandro Angelone Italiano, Notaio a Milano e

 Socio di Associazione SuperPartes

 

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