La Cassazione ribadisce la nullità dell’alienazione a scopo di garanzia commissoria.

L’11 luglio è stata depositata la sentenza della seconda sezione civile della Corte di Cassazione n. 18680 che ribadisce i principi affermati dalla Corte stessa nel corso degli ultimi anni in tema di alienazione a scopo di garanzia e patto commissorio.

Viene accolto il ricorso delle parti che chiedevano la dichiarazione della nullità della compravendita immobiliare stipulata con una società per violazione dell’art. 2744 c.c. e gli Ermellini cassano la sentenza con rinvio al giudice di merito.

Nello specifico la sentenza in oggetto ribadisce che: “Ogni qualvolta la vendita con patto di riscatto o retrovendita, stipulata fra il debitore ed il creditore, risponda all’intento delle parti di costituire una garanzia, con l’attribuzione irrevocabile del bene al creditore solo in caso di inadempienza del debitore, il contratto è nullo anche quando implichi un trasferimento effettivo della proprietà (con condizione risolutiva), atteso che, pur non integrando direttamente il patto commissorio, previsto e vietato dall’art. 2744 c.c., configura un mezzo per eludere tale norma imperativa e quindi, esprime una causa illecita che rende applicabile all’intero contratto la sanzione dell’art. 1344 c.c.”.

La Giurisprudenza a partire da due sentenze gemelle della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (1611/1989 e 1907/1989) ha affermato il principio secondo il quale il divieto del patto commissorio non colpisce una determinata struttura negoziale ma un assetto di interessi sotteso all’operazione di volta in volta posta in essere.

Questo concetto è stato ribadito da numerosissime sentenze successive ed in particolare in quella del 20 febbraio 2013 n. 4462 si statuisce. “In materia di nullità per violazione del divieto del patto commissorio, non è possibile in astratto identificare una categoria di negozi soggetti a tale nullità, occorrendo invece riconoscere che qualsiasi negozio può integrare tale violazione nell’ipotesi in cui venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento giuridico, di far ottenere al creditore la proprietà del bene dell’altra parte nel caso in cui questa non adempia la propria obbligazione”.

Alla luce di tali pronunce il divieto in oggetto ha trovato applicazione in tutte le ipotesi in cui la ratio ed il fondamento dello stesso risultassero violati, indipendentemente quindi dall’efficacia del negozio (sospensivamente o risolutivamente condizionato all’inadempimento) e dalla circostanza che l’alienazione fosse collegata a un debito già garantito da pegno o ipoteca oppure no.

In dottrina ed in giurisprudenza, però, non si è giunti ad una conclusione unanimemente condivisa sulla ratio del divieto del patto commissorio.

Può affermarsi, tuttavia, che la ricostruzione moderna e maggiormente rispondente a tali ultimi orientamenti affermati, individua la ratio del divieto nel disfavore dell’ordinamento giuridico nei confronti della predeterminazione dei rapporti di valore tra l’oggetto della garanzia e il debito, cioè verso una regolamentazione anticipata e definitiva delle modalità di attuazione della responsabilità debitoria nell’ipotesi di inadempimento mediante la pattuizione del trasferimento di un bene immobile del debitore a tacitazione del debito.

L’Ufficio studi del CNN nello Studio sulla cessione in garanzia n. 341-2009/C del 17 settembre 2009 pure aderisce a questa ultima ricostruzione.                                                           

Avvocato Andrea Pentangelo

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