La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20041 del 6 ottobre 2016, ha affrontato una interessante questione in relazione alla collazione per imputazione.

In particolare può accadere che un soggetto doni ad un altro un terreno agricolo, che, con il passare del tempo, diventi edificabile, aumentando il proprio valore in maniera anche esponenziale.

In questi casi, alla morte del donante, occorre chiedersi quale sia il valore da considerare, ai fini della collazione. Ciò è ancor più complesso nel caso in cui, medio tempore, il donatario abbia alienato il terreno.

Quando, infatti, si apre una successione, chi ha già  precedentemente ricevuto per donazione è obbligato a procedere alla collazione, per ovvie ragioni di parità  di trattamento tra i coeredi, dal momento che la donazione, in qualche modo, può essere considerata come una sorta di anticipazione sull'eredità .

La collazione, per espressa previsione dell'art. 746 c.c., può avvenire o in natura o per imputazione. In altre parole, il donatario può scegliere se conferire il bene in natura o imputarne il valore alla propria porzione di eredità . E' evidente come, nel caso in cui il bene sia intanto stato alienato, non rimanga che procedere alla collazione per imputazione, imputando cioè il valore di quel bene alla propria quota, dal momento che esso non è più nella disponibilità  del donatario.

Qui nascono però le problematiche in relazione al quantum da imputare. Se il bene al momento della donazione aveva un certo valore, poi aumentato nettamente, occorre chiedersi quale dei due valori si debba considerare.

Viene in soccorso l'art. 747 c.c. che espressamente prevede che la collazione per imputazione debba essere fatta avendo riguardo al valore dell'immobile al momento dell'apertura della successione. La legge sul punto è molto chiara e non lascia spazio a possibili diverse interpretazioni: il momento per calcolare il valore del bene è quello dell'apertura della successione e nessun altro momento precedente (quello della donazione o quello dell'eventuale alienazione).

Nel caso analizzato dalla Corte, ad esempio, il terreno oggetto di donazione, essendo intanto divenuto edificabile, aveva visto aumentare il proprio valore passando addirittura da Lire 15.000.000 a 108.000 Euro al momento dell'apertura della successione. Tuttavia il donatario aveva alienato il bene quando il suo valore era ancora quello di terreno agricolo e pertanto non aveva in alcun modo beneficiato di quell'aumento di valore dovuto alla modificazione della destinazione urbanistica in terreno edificabile.

Ciononostante essendo la lettera della norma molto chiara, la Corte sottolinea come il donatario sia libero di alienare in qualsiasi momento, prima della collazione, il bene ricevuto, tuttavia in tal caso lo fa a proprio rischio.

In altre parole, il valore del bene va, come prevede la legge, calcolato al momento dell'apertura della successione, a prescindere dal fatto che il terreno sia stato o meno intanto alienato. Ragionare in termini diversi, secondo la Cassazione, condurrebbe all'"inaccettabile conseguenza per cui, a fronte di un medesimo fatto (il mutamento della destinazione urbanistica del fondo), la collazione avrebbe ad oggetto il valore di mercato del bene, nel caso in cui questo sia rimasto nella disponibilità  del donatario, e il valore del bene al netto dell'incremento determinato dalla sopraggiunta vocazione edificatoria del fondo, nel caso in cui questo sia stato alienato".

Pertanto il valore del bene va sempre calcolato al momento dell'apertura della successione, a prescindere da eventuali vicende negoziali che possono essersi intanto compiute, come l'eventuale vendita dello stesso a terzi.

Sul punto non può giovare al donatario nemmeno la disciplina prevista per le migliorie. Gli artt. 748 e 749 c.c. prevedono, infatti, che, in ogni caso, si devono dedurre a favore del donatario le migliorie apportate al fondo nei limiti del loro valore al momento dell'apertura della successione. Inoltre, nel caso in cui l'immobile sia stato alienato dal donatario, i miglioramenti (e/o i deterioramenti) fatti dall'acquirente devono essere anch'essi computati.

Ma la diversa destinazione urbanistica di un terreno equivale a miglioramento?

La Corte di Cassazione opta per una soluzione negativa in tal senso. In particolare, si possono considerare miglioramenti rimborsabili, ai fini della collazione, quelli che dipendono dal donatario, ovvero fatti per sua iniziativa, a sue cure e a sue spese.

Il cambio di destinazione urbanistica, da terreno agricolo a terreno edificabile, non può certo essere in tal senso considerato un miglioramento rimborsabile al donatario. L'evento non dipende da lui, ma da fattori esterni ed in particolare amministrativi.

Pertanto, traendo le fila dall'analisi compiuta sul punto dalla Corte, si può quindi agevolmente concludere che, in un caso come questo, il valore del terreno debba essere stimato, ai fini della collazione, tenendo conto del suo valore al momento della successione, a prescindere dal fatto che esso sia stato intanto alienato e che il donatario non abbia quindi potuto giovare dell'incremento economico dovuto a un eventuale cambio di destinazione urbanistica che, tra l'altro, non dipendendo da iniziative proprie del donatario, non può nemmeno essere considerato un miglioramento rimborsabile ai sensi degli artt. 748 e 749 c.c

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20041 del 6 ottobre 2016, ha affrontato una interessante questione in relazione alla collazione per imputazione.
In particolare può accadere che un soggetto doni ad un altro un terreno agricolo, che, con il passare del tempo, diventi edificabile, aumentando il proprio valore in maniera anche esponenziale.
In questi casi, alla morte del donante, occorre chiedersi quale sia il valore da considerare, ai fini della collazione. Ciò è ancor più complesso nel caso in cui, medio tempore, il donatario abbia alienato il terreno.