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    03 agosto 2017

    Posso risolvere il preliminare se trovo l'eternit?

    Corte di Cassazione, sezione II civile, ordinanza n. 15742 del 23 giugno 2017 Si sente purtroppo spesso parlare di eternit e non sempre in circostanze liete, ma cosa succede se un soggetto decide di comprare un appartamento ignaro della presenza di eternit sul tetto del palazzo? Basta solo il fatto della sua presenza per far nascere il diritto di risoluzione dal contratto? La giurisprudenza ha detto di no, rigettando la domanda di risoluzione del contratto preliminare di vendita di un immobile, richiesta a seguito della scoperta della presenza di fibrocemento contenente amianto. Questo, però, precisa la Cassazione, vale nelle ipotesi in cui venga accertato che esso sia in buono stato di conservazione e dunque non incida sull'utilizzabilità  abitativa dell'immobile stesso. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes Il fatto La vicenda sottoposta all'attenzione della Cassazione trae origine da un contratto preliminare avente ad oggetto un appartamento posto all'ultimo piano di un edificio, riguardo al quale i promissari acquirenti venivano a conoscenza, successivamente alla firma, che la copertura dell'edificio era stata realizzata in eternit. Chiedevano, quindi, la risoluzione del contratto per inadempimento del promittente venditore (in relazione al vizio occulto ed essenziale costituito dal materiale utilizzato per copertura dell'edificio) e la condanna dello stesso alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria ricevuta. Le ragioni giuridiche La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso, in relazione alla mancata considerazione della nocività  dell'amianto quale nozione di fatto che rientra nella comune esperienza, in quanto la Corte territoriale aveva correttamente tenuto conto della pericolosità  dell'amianto in generale (ed in particolare dell'eventualità  che, per il cattivo stato di conservazione del materiale, siano rilasciate nell'ambiente fibre che possono essere inalate dall'uomo) ma l'aveva esclusa nel caso specifico sulla base dell'accertamento eseguito dall'ARPA, che escludeva l'attualità  del pericolo. Proprio alla luce di questo, dunque, i giudici di Appello avevano ritenuto l'appartamento promesso in vendita idoneo ai fini abitativi e che la presenza della copertura in amianto non ne diminuisse il valore in misura tale da giustificare la risoluzione del contratto. Inoltre la Corte di Cassazione ha evidenziato come il legislatore abbia vietato la commercializzazione e l'utilizzazione di materiali costruttivi in fibrocemento per il futuro, ma non abbia anche imposto la rimozione generalizzata di tali materiali nelle costruzioni già  esistenti, obbligando in tal caso solamente i proprietari degli immobili a comunicare agli organi sanitari locali la presenza di amianto fioccato o friabile negli edifici e consentendo la conservazione delle strutture che impiegano tale materiale a condizione che esse si trovino in buono stato manutentivo. Alla luce di tutte queste considerazioni, pertanto, la Corte di Cassazione ha concluso che l'attuale copertura in eternit dell'edificio fosse in linea con la normativa, considerato che tale materiale era stato utilizzato legittimamente ratione temporis e che l'accertamento eseguito in concreto dall'ARPA aveva escluso pericoli attuali per la salute. Al più il probabile deterioramento del materiale nel corso del tempo avrebbe potuto giustificare, in luogo della risoluzione del contratto, una modesta riduzione del prezzo, la quale tuttavia non è domandata dai promissari acquirenti. Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes

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    25 novembre 2016

    lecita la trasformazione del tetto in terrazza ad...

    La Corte di Cassazione[1] è tornata sul tema delle modifiche del tetto di un immobile ad opera di un singolo condomino, affermando come debba ritenersi illecita la modifica, ad opera del proprietario dell'ultimo piano, del tetto in terrazza, nonostante la contraria volontà  espressa dall'assemblea condominiale. In particolare, il caso analizzato dalla Corte riguarda la costruzione di un'altana ad opera di un singolo condomino, con conseguente modificazione a proprio uso esclusivo del tetto, parte comune dell'edificio condominiale ai sensi dell'art. 1117 del Codice civile. La Corte di Cassazione afferma come tale modifica debba ritenersi illecita non potendo rientrare nell'ipotesi prevista dall'art. 1102 c.c.. In particolare l'art. 1102 c.c. prevede la possibilità , per ciascun condomino, di servirsi della cosa comune. Tuttavia precisa che ciò non deve alterare la destinazione della cosa e impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. In particolare il condomino può apportare, a proprie spese, le modifiche necessarie per il miglior godimento, ma non può estendere il suo diritto sulla cosa comune, in danno agli altri, se non provveda a compiere atti idonei a mutare il titolo del suo possesso (ad esempio acquistando il relativo diritto di proprietà  sul bene comune). Pertanto ciò che appare legittimo, secondo la Corte, alla luce del dettato dell'art. 1102 c.c., è l'utilizzazione della cosa comune da parte del singolo, anche con modalità  particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, ma pur sempre nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, che possono essere attuali o anche solo potenziali, degli altri condomini. È ammesso anche l'uso più intenso della cosa comune da parte del singolo, purchè tuttavia, anche in tal caso, non venga alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi sempre tenere in considerazione anche l'uso potenziale che gli altri condomini possano farne. Nel caso di specie, tuttavia, la costruzione di un'altana (o altra struttura equivalente che abbia comunque l'effetto di trasformare parte del tetto in terrazza) non può essere considerata una modifica finalizzata solo al miglior godimento della cosa comune e come tale rientrante nella disciplina dell'art. 1102 c.c.. Ma al contrario una illegittima trasformazione di un bene comune ad uso esclusivo del singolo, che alterata l'originaria destinazione del bene, sottraendolo all'utilizzazione da parte degli altri, sia attuale sia futura, e a nulla rilevando, in tal senso, che la parte di tetto così sostituita continui a svolgere la funzione di copertura dell'immobile. La modifica unilateralmente posta in essere dal singolo condomino dell'ultimo piano rappresenta, quindi, "violazione del divieto stabilito dall'art. 1120 comma 2 cod. civ., essendo indubbio che gli altri condomini vengono privati delle potenzialità  di uso". [1] Cassazione, sentenza 15 novembre 2016, n. 23243, sez. II civile.

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