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    10 giugno 2021

    Termine previsto nella diffida ad adempiere

    Cassazione, 14 maggio 2020 n. 8942.In tema di risoluzione di diritto del contratto ex art. 1454 c.c., essendo la diffida ad adempiere un atto recettizio, il termine di quindici giorni assegnato al debitore perché provveda all’adempimento decorre dal momento in cui il documento è giunto nella sfera di conoscenza del destinatario, sicchè non risulta decisiva la data di invio della comunicazione scritta contenente la diffida, bensì quella in cui l’atto è pervenuto al recapito cui era indirizzato. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    03 dicembre 2020

    Risoluzione e clasuola vessatoria

    Cassazione, ordinanza del 27 agosto 2020, n. 17912. La clausola risolutiva espressa che conferisce al contraente il diritto di ottenere la risoluzione del contratto a seguito di un inadempimento della controparte, non ha carattere vessatorio. Difatti, non è riconducibile alle ipotesi previste dall’art. 1341, co. 2, c.c. neanche in seguito all’aggravamento delle condizioni di uno dei contraenti. Pertanto, se il contratto è risoluto di diritto, i premi pagati restano trattenuti dalla compagnia assicuratrice. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    10 giugno 2020

    Certificato di agibilita’ e risoluzione per...

    Cassazione, sentenza 30 gennaio 2020, n. 2196, sez. II civile. Il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita di un immobile privo del certificato di abitabilità o di agibilità e di conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipenda da inerzia del Comune – nei cui confronti, peraltro, è obbligato ad attivarsi il promittente venditore – è giustificato, ancorché si tratti di fenomeno occorso anteriormente all’entrata in vigore della l. N. 47 del 1985, poiché i predetti certificati sono essenziali, avendo l’acquirente interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico sociale nonché a soddisfare i bisogni che inducono all’acquisto e, cioè, la fruibilità e la commerciabilità del bene.Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    05 giugno 2020

    Forma della risoluzione della donazione

    Cassazione, sentenza 3 marzo 2020, n. 5937, sez. I civile. Anche nel caso di accordo tra coniugi per la risoluzione di una donazione deve essere rispettata la stessa forma dell’atto originario e principale. E’ quindi necessario l’intervento del notaio con l’atto pubblico alla presenza di due testimoni.Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    03 agosto 2017

    Posso risolvere il preliminare se trovo l'eternit?

    Corte di Cassazione, sezione II civile, ordinanza n. 15742 del 23 giugno 2017 Si sente purtroppo spesso parlare di eternit e non sempre in circostanze liete, ma cosa succede se un soggetto decide di comprare un appartamento ignaro della presenza di eternit sul tetto del palazzo? Basta solo il fatto della sua presenza per far nascere il diritto di risoluzione dal contratto? La giurisprudenza ha detto di no, rigettando la domanda di risoluzione del contratto preliminare di vendita di un immobile, richiesta a seguito della scoperta della presenza di fibrocemento contenente amianto. Questo, però, precisa la Cassazione, vale nelle ipotesi in cui venga accertato che esso sia in buono stato di conservazione e dunque non incida sull'utilizzabilità  abitativa dell'immobile stesso. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes Il fatto La vicenda sottoposta all'attenzione della Cassazione trae origine da un contratto preliminare avente ad oggetto un appartamento posto all'ultimo piano di un edificio, riguardo al quale i promissari acquirenti venivano a conoscenza, successivamente alla firma, che la copertura dell'edificio era stata realizzata in eternit. Chiedevano, quindi, la risoluzione del contratto per inadempimento del promittente venditore (in relazione al vizio occulto ed essenziale costituito dal materiale utilizzato per copertura dell'edificio) e la condanna dello stesso alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria ricevuta. Le ragioni giuridiche La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso, in relazione alla mancata considerazione della nocività  dell'amianto quale nozione di fatto che rientra nella comune esperienza, in quanto la Corte territoriale aveva correttamente tenuto conto della pericolosità  dell'amianto in generale (ed in particolare dell'eventualità  che, per il cattivo stato di conservazione del materiale, siano rilasciate nell'ambiente fibre che possono essere inalate dall'uomo) ma l'aveva esclusa nel caso specifico sulla base dell'accertamento eseguito dall'ARPA, che escludeva l'attualità  del pericolo. Proprio alla luce di questo, dunque, i giudici di Appello avevano ritenuto l'appartamento promesso in vendita idoneo ai fini abitativi e che la presenza della copertura in amianto non ne diminuisse il valore in misura tale da giustificare la risoluzione del contratto. Inoltre la Corte di Cassazione ha evidenziato come il legislatore abbia vietato la commercializzazione e l'utilizzazione di materiali costruttivi in fibrocemento per il futuro, ma non abbia anche imposto la rimozione generalizzata di tali materiali nelle costruzioni già  esistenti, obbligando in tal caso solamente i proprietari degli immobili a comunicare agli organi sanitari locali la presenza di amianto fioccato o friabile negli edifici e consentendo la conservazione delle strutture che impiegano tale materiale a condizione che esse si trovino in buono stato manutentivo. Alla luce di tutte queste considerazioni, pertanto, la Corte di Cassazione ha concluso che l'attuale copertura in eternit dell'edificio fosse in linea con la normativa, considerato che tale materiale era stato utilizzato legittimamente ratione temporis e che l'accertamento eseguito in concreto dall'ARPA aveva escluso pericoli attuali per la salute. Al più il probabile deterioramento del materiale nel corso del tempo avrebbe potuto giustificare, in luogo della risoluzione del contratto, una modesta riduzione del prezzo, la quale tuttavia non è domandata dai promissari acquirenti. Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes

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    19 luglio 2017

    È ammissibile il preliminare di vendita di cosa...

    Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa, sentenza n. 5176 del 9 maggio 2017 Cosa cambia per il cittadino Il Tribunale di Milano si è espresso in senso positivo in ordine all'ammissibilità  del preliminare di vendita di cose altrui avente ad oggetto le quote di una s.r.l., non ritenendo condivisibile il diverso orientamento che ne negava l'ammissibilità , sul presupposto per cui la partecipazione in s.r.l. non sarebbe una "cosa" ma un fascio di diritti e come tale non suscettibile di formare oggetto di tale tipologia di contratto. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes http://associazionesuperpartes.it/notai/ Il fatto Tizio aveva ha sottoscritto un contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto il 15% del capitale sociale di una s.r.l., in cui i promittenti venditori dichiaravano che le quote erano di loro piena ed esclusiva proprietà . Successivamente, però, Tizio veniva a conoscenza che i promittenti venditori non erano proprietari delle suddette quote, ma ciascuno socio di altra società  a sua volta titolare di partecipazioni nella s.r.l. in questione. Alla luce di ciò, Tizio chiedeva la nullità  del contratto per impossibilità  dell'oggetto e la restituzione di quanto già  versato, nonché il risarcimento del danno ex 1338 c.c. nei confronti dei venditori ben consapevoli, a suo modo di vedere, del vizio del contratto. Le ragioni giuridiche Il Tribunale, dopo aver qualificato l'operazione come preliminare di vendita di cosa altrui, ne ha affermato l'ammissibilità , sostenendo che tale tipologia di contratto ben può avere ad oggetto quote sociali, come già  affermato in precedenza dallo stesso Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa. Non ha, infatti, ritenuto degna di pregio giuridico l'affermazione di parte attrice secondo cui "si può "vendere la cosa altrui", ma la partecipazione in una società  non sarebbe una "cosa" ma un fascio di diritti (non di natura reale) che conferisce uno status, quello di socio. La giurisprudenza maggioritaria, già  da tempo, ha, infatti, riconosciuto alla quota sociale natura di "bene immateriale equiparato ad un bene mobile non iscritto in pubblico registro", con la conseguente applicabilità  alla stessa del regime giuridico concernente i beni mobili e, in particolare, della disciplina delle situazioni soggettive reali. Tale impostazione è stata, peraltro, confermata dal legislatore della riforma del 2003, il quale da un lato ha modificando l'art. 2741 c.c., consentendo l'espropriazione della partecipazione in s.r.l. e dall'altro ha introdotto l'art. 2471 bis c.c., prevedendo espressamente che essa possa formare oggetto di pegno, usufrutto e sequestro. Alla luce di tutte queste considerazioni, quindi, il Tribunale di Milano ha concluso per escludere l'invocata nullità  per impossibilità dell'oggetto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1418 comma 2 c.c. e 1346 c.c., dovendosi invece ritenere che tale tipologia di contratto sia perfettamente ammissibile e valida sino ad eventuale risoluzione si sensi dell'art.1479 c.c.. Per leggere gli altri articoli SuperPartes clicca qui: http://associazionesuperpartes.it/extra/blog/

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    06 luglio 2017

    Preliminare di donazione: è valido?

    Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza n. 14262 dell'8 giugno 2017 Cosa cambia per il cittadino La Corte di Cassazione ha fatto applicazione della teoria della causa in concreto in un'interessante, quanto complessa, vicenda negoziale intercorsa tra più parti e coinvolgente una donazione, una procura e un vitalizio. In disparte la peculiarità  del caso giunto all'attenzione degli Ermellini, ci che preme sottolineare è l'affermazione, da parte del Collegio, della nullità  di un eventuale preliminare di donazione. La Corte di Cassazione sembra dunque ribadire l'orientamento tradizionale che ha sempre ritenuto inammissibile il preliminare di donazione alla luce del fatto che "obbligarsi a donare" farebbe venir meno l'elemento essenziale dell'atto di liberalità  che è la spontaneità . Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes http://associazionesuperpartes.it/notai/ Il fatto Tizia ha intimato lo sfratto per morosità  alla società  Alfa s.r.l., conduttrice di un immobile destinato ad uso ufficio, lamentando il mancato pagamento dei canoni e chiedendo la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento. La società  convenuta, costituendosi, ha contestato l'esistenza di qualsiasi morosità , affermandosi al contrario lei creditrice di parte attrice. Di fondo a tutta la vicenda una scrittura privata, con cui si conveniva il trasferimento di un immobile, un vitalizio a favore della donante e una procura a gestire alcuni immobili. Le ragioni giuridiche La Corte di Cassazione ha evidenziato come il Tribunale avesse correttamente ricostruito la complessa vicenda ritenendo che la scrittura privata, pur formalmente definita come "preliminare", non contenesse obblighi alla stipula di contratti definitivi, assumendo con essa le parti, di converso, precise e reciproche obbligazioni di fare e di dare con effetti immediati. La corte di appello di Brescia, investita delle impugnazioni, aveva al contrario concluso che la scrittura privata andasse qualificata come contratto preliminare, non soltanto per la sua esplicita intitolazione, ma anche alla luce del comportamento successivo delle parti, volto all'attuazione degli impegni con essa assunti. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo come l'interpretazione di tale scrittura adottata dalla Corte territoriale sia da ritenersi viziata sul piano logico-giuridico, nella parte in cui ne afferma la natura di contratto preliminare, senza considerare la decisiva circostanza della contestualità  temporale tanto della "scrittura preliminare" quanto dell'accordo vitalizio, del rilascio della procura e della donazione. Osserva il Collegio, infatti, che la cessione della proprietà  da parte di Tizia, non avrebbe potuto essere legittimamente qualificata "preliminare di donazione", pena la sua insanabile nullità , non essendo ammissibile il preliminare di donazione. Di qui la conseguenza, rettamente colta dal primo giudice, che, per il principio di conservazione degli atti giuridici, la suddetta scrittura privata, contenente una pluralità  di pattuizioni caratterizzate da un evidente vincolo di collegamento negoziale, "non poteva che ritenersi immediatamente dotata di efficacia, reale ed obbligatoria, con riferimento alle singole pattuizioni in essa contenuta, ed i successivi atti formali esclusivamente funzionali alla riproduzione in altra veste degli accordi già  raggiunti, della cui validità  ed efficace non par lecito dubitare". Lo scopo perseguito dalle parti, infatti, era quello di assicurare, da un lato, una rendita vitalizia a Tizia e dall'altro, consentire alla controparte collettiva l'amministrazione e il godimento degli utili dei beni in usufrutto alla prima con rinuncia di quest'ultima alla pretesa di percepire i canoni di locazione. Tra le varie circostanze fattuali a conferma di tale ricostruzione dei fatti, si rinviene anche quella per cui la società , dopo aver corrisposto i canoni di locazione per molti anni, abbia cessato di corrisponderli subito dopo l'accordo e Tizia non abbia provveduto per lungo periodo a richiederli. Per leggere gli altri articoli SuperPartes clicca qui: http://associazionesuperpartes.it/extra/blog/

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    27 marzo 2017

    Lo scioglimento del contratto attraverso la...

    Cassazione civile, I sezione, sentenza 11 novembre 2016, n. 23065 Cosa cambia per il cittadino La clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto di ottenere unilateralmente e in via stragiudiziale la risoluzione del contratto, a fronte di un determinato inadempimento della controparte descritto nella clausola. Con tale clausola dunque, le parti, al momento della conclusione del contratto, convengono che, se si verificherà  un determinato comportamento inadempiente, opererà  la risoluzione di diritto, tale da dispensare la parte che doveva ricevere l'adempimento dall'onere di provare l'importanza dell'inadempimento. Essa non ha carattere vessatorio, atteso che non è riconducibile a nessuna delle ipotesi previste dall'art 1341 comma 2 c.c. che aggravano le condizioni di uno dei contraenti (come la limitazione della responsabilità , o della facoltà  di proporre eccezioni ecc.), in quanto la possibilità  di chiedere la risoluzione del contratto è connessa alla stessa posizione di parte del contratto ex art 1453 c.c., e la clausola risolutiva si limita soltanto a rafforzarla e specificarne i presupposti. La sentenza inoltre, precisa come "l'operatività  della clausola risolutiva espressa non può essere esclusa in virtù della tolleranza manifestata dal creditore, trattandosi di un comportamento di per sè inidoneo a determinare una modificazione della disciplina contrattuale ed insufficiente anche ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersi della clausola, ove lo stesso creditore, contestualmente o successivamente all'atto di tolleranza, abbia manifestato l'intenzione di avvalersene in caso di ulteriore protrazione dell'inadempimento" Per capire il meccanismo della clausola risolutiva, si ricorra ad un esempio. Tizio e Caia stipulano un contratto di consulenza professionale e inseriscono una clausola risolutiva che recita così: "qualora il ritardo dei pagamenti del compenso dovuto al Consulente dalla Committente si sia protratto per oltre "¦ giorni rispetto al termine pattuito, il Consulente, ai sensi dell'art. 1456 c.c., ha facoltà  di risolvere il contratto comunicando alla Committente, con lettera raccomandata a/r, la propria volontà  di avvalersi della presenteclausola". Se Caia non paga entro il termine pattuito, Tizio può avvalersi della clausola e sciogliere il contratto. Se la committente vuole contestare l'inadempimento, in applicazione al criterio di ripartizione dell'onere della prova enunciato dalla Cassazione in tema di inadempimento delle obbligazioni,è tenuta a provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituita dall'avvenuto adempimento (ad esempio di aver già  pagato integralmente il compenso). Il creditore invece è tenuto a provare esclusivamente la fonte del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell'inadempimento della controparte, che fa scattare l'operatività  della clausola risolutiva. Compito del giudice sarà  quello di verificare il realizzarsi dell'inadempimento previsto nella clausola e dichiarare, in caso affermativo, l'avvenuta risoluzione. L'effetto di quest'ultima non discende dalla pronuncia del giudice (di mero accertamento), ma automaticamente dalla clausola. Per approfondimenti chiedi ai Notai SuperParteshttp://associazionesuperpartes.it/notai/ Il fatto Il giudizio riguardava esclusivamente un debito residuo relativo ad un rapporto di mutuo per il quale era stato emesso il decreto ingiuntivo. Accertato che il relativo contratto prevedeva il pagamento delle rate alla scadenza senza necessità  di preavviso e la decadenza dal beneficio del termine in caso di sopravvenuta insolvenza dei mutuatari, nonchè la risoluzione di diritto in caso di mancato puntuale pagamento anche di una sola rata, si è ritenuto provato l'inadempimento degli opponenti e pertanto legittima l'intervenuta applicazione della clausola. Del tutto inconferenti si rivelano le censure riflettenti l'arbitrarietà  del comportamento della Banca, la cui configurabilità  come atto di ritorsione motivato da vicende inerenti ad altri rapporti intercorsi tra le parti non può assumere alcun rilievo ai fini dell'operatività  della clausola risolutiva. Ragioni giuridiche Ogni contraente ha per legge il diritto di chiedere giudizialmente lo scioglimento del vincolo contrattuale a fronte del mancato adempimento della prestazione contrattuale della controparte, ma l'effetto risolutorio può prodursi solo attraverso una sentenza costitutiva del giudice, in seguito all'accertamento della gravità  e la serietà  dell'inadempimento alla luce dei reciproci interessi delle parti. La previsione della clausola risolutiva espressa, invece, ha lo scopo di prescindere dalla pronuncia giudiziale e dalla valutazione oggettiva e soggettiva della gravità  dell'inadempimento, richiesta invece dall'art 1455 c.c. per la risoluzione giudiziale. Qui sono le parti a valutare in via anticipata l'importanza di un determinato inadempimento e a ritenerlo intollerabile. La sentenza chiarisce la non vessatorietà  della clausola risolutiva espressa e la sua non riconducibilità  all'articolo 1341 comma 2 c.c., in quanto non fa altro che rafforzare un diritto già  rientrante nella sfera giuridica di un contrante. Inoltre, la non vessatorietà  della clausola risolutiva espressa, è giustificata da molti con la teoria della tassatività  delle clausole vessatorie ex art. 1341 c.c. Tuttavia, la situazione potrebbe diventare più delicata quando le parti non si trovano in una situazione di parità ; nel diritto dei consumatori, il Codice del Consumo prevede che, per ritenere una clausola "vessatoria" è necessario analizzare il contratto nella sua interezza, confrontando i diversi equilibri contrattuali del consumatore (contraente debole) e dell'imprenditore. Per questo, una clausola risolutiva che preveda inadempienze minime per legittimare l'imprenditore ad avvalersi della clausola, potrebbe essere vessatoria. Per leggere gli altri articoli SuperPartes clicca qui:http://associazionesuperpartes.it/extra/blog/ Dott.ssa Eleonora Baglivo

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