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    22 luglio 2024

    Costruzione unitaria su aree tra loro confinanti...

    Cassazione, ordinanza, 9 aprile 2024, n. 9456, sez. II civile. Nel caso in cui più soggetti, esclusivi proprietari di aree tra loro confinanti, si accordino per realizzare una costruzione, per il principio dell’accessione, ciascuno di essi, salvo convenzione contraria, acquista la sola proprietà della parte di edificio che insiste in proiezione verticale sul proprio fondo, cosicché anche le opere e strutture inscindibilmente poste a servizio dell’intero fabbricato (quali scale, androne, impianto di riscaldamento, ecc.) rientrano, per accessione, in tutto o in parte, a seconda della loro collocazione, nella proprietà dell’uno o dell’altro, salvo l’instaurarsi sulle medesime, in quanto funzionalmente inscindibili, di una comunione incidentale di uso e di godimento, comportante l’obbligo dei singoli proprietari di contribuire alle relative spese di manutenzione e di esercizio in proporzione dei rispettivi diritti dominicali. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Foto di Gerd Altmann da Pixabay © Riproduzione riservata

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    21 marzo 2024

    La rinuncia abdicativa

    Molto spesso capita di volersi disfare di un oggetto che non si utilizza più o che semplicemente ha esaurito la sua funzionalità. La questione non sembra porre problemi in relazione a oggetti di modesto valore o, più in generale, ai beni mobili.Ma come procedere se ci si vuole liberare di una casa, di un terreno o di un qualsiasi bene immobile? È proprio in questo contesto che assume rilievo la rinuncia abdicativa, per tale intendendosi l’atto unilaterale non recettizio (efficace, cioè, a prescindere da una sua comunicazione al terzo beneficiario) attraverso il quale si dismette formalmente la proprietà di un bene, senza necessità di conoscenza o di accettazione da parte di altri soggetti. La rinuncia abdicativa si differenzia, dunque, dalla rinuncia traslativa, in cui alla dismissione del diritto del rinunciante fa da contraltare una controprestazione, un costo, un corrispettivo, tipologia di rinuncia, quest’ultima, che deve essere comunicata a colui nei confronti del quale si verifica l’arricchimento, dovendo quest’ultimo accettare la devoluzione fatta a suo favore oppure rinunciare. Ma perché si dovrebbe voler rinunciare alla proprietà di un immobile? Le ragioni possono essere varie. Innanzitutto, non è sempre certo che dalla vendita si possa ricavare una discreta somma, esistendo beni che non hanno praticamente valore: si pensi, ad esempio, ad una casa completamente distrutta o ad un terreno non edificabile né coltivabile. In secondo luogo, costi, tasse e responsabilità, anche civile, possono essere di gran lunga superiori rispetto al beneficio che si trae dalla proprietà del bene. Chi diventa, quindi, proprietario? Pur non essendoci una specifica norma che disciplina la rinuncia abdicativa, pur tuttavia il Codice civile prevede che i beni immobili che non sono di proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato. A seguito della rinuncia abdicativa, quindi, lo Stato diventa immediatamente ed automaticamente titolare del diritto di proprietà sull’immobile. La rinuncia abdicativa può essere fatta solamente per iscritto, più precisamente con atto pubblico o scrittura privata, sotto pena di nullità e deve essere trascritta nei registri pubblici immobiliari. Di regola, non andrebbe notificata poiché, come detto, si tratta di un atto non recettizio. Tuttavia, si sostiene essere opportuna la conoscenza di tale atto con notifica al competente ufficio dell’Agenzia del Demanio al fine di informare la Pubblica Amministrazione dell’acquisizione dell’immobile a favore dello Stato in modo da consentire a quest’ultima di adottare tutte le iniziative ritenute opportune, anche a tutela della pubblica incolumità. Dal momento che la rinuncia abdicativa costituisce un negozio giuridico atipico (non disciplinato, cioè, espressamente dalla legge), si ritiene ammissibile solamente ove essa persegua interessi meritevoli di tutela. La rinuncia alla proprietà è configurabile anche quando si tratta di rinunciare a una quota di comproprietà. Nell’ipotesi di comproprietà, il diritto di ciascuno – che va inteso come diritto “sul tutto” – trova una limitazione nel concorrente diritto degli altri comproprietari. Per tale ragione, con la rinuncia alla quota da parte di uno dei comproprietari, il diritto degli altri si espande: in altri termini, il venir meno di una delle partecipazioni tramite la dichiarazione rinunciativa comporta una rideterminazione pro quota dell’entità della partecipazione degli altri comproprietari, i quali vedranno ipso iure accrescere in proporzione le loro quote in forza del principio di elasticità del diritto di proprietà. La facoltà di rinuncia è esercitabile anche in relazione ai diritti reali minori e, in particolare, ai diritti di godimento: essi, in generale, comportano una limitazione al diritto di proprietà, per cui la rinuncia da parte del titolare del diritto di godimento determina la ri-espansione di essa in capo al proprietario. È dunque possibile rinunciare al diritto di usufrutto (e la conseguenza indiretta è la ri-espansione del diritto del nudo proprietario, il quale ritorna titolare della piena proprietà), al diritto di superficie (a favore del proprietario del suolo), al diritto di servitù (che si estingue, con conseguente riacquisto della dimensione originaria del diritto di proprietà). Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Foto di ddzphoto da Pixabay © Riproduzione riservata

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    04 marzo 2024

    La vendita con riserva di proprietà

    COME FUNZIONA LA VENDITA CON RISERVA DI PROPRIETA’? Per la legge italiana il passaggio della proprietà del bene trasferito dal venditore al compratore si realizza nel momento stesso in cui il contratto si è perfezionato, ovvero, secondo il principio consensuale, quando l’offerta e l’accettazione “si incontrano”. È possibile, tuttavia, per le parti decidere di subordinare tale passaggio di proprietà all’effettuazione dell’integrale pagamento del prezzo dei beni venduti. Il patto tramite il quale si realizza tale obiettivo è denominato “con riserva di proprietà”, o “di riservato dominio”, ed è un contratto per effetto del quale il compratore ottiene immediatamente il godimento del bene acquistato – impegnandosi a pagare l’importo pattuito in rate dilazionate secondo i tempi e le modalità previste nel contratto di vendita –mentre la proprietà rimane in capo al venditore fino a quando le rate non saranno state interamente pagate, trasferendosi in capo all’acquirente solo con l’ultimo pagamento. Ma che cosa differenzia la vendita con riserva di proprietà dalla normale compravendita? La peculiarità di questa tipologia di compravendita risiede proprio nel non immediato trasferimento della proprietà, trasferimento che, sostanzialmente, rimane sospeso fino all’integrale adempimento dell’obbligo di pagamento prezzo in capo all’acquirente. In altri termini, mentre nella compravendita tradizionale la proprietà è trasferita con il solo consenso delle parti, nella vendita con riserva di proprietà l’obbligo di pagamento del prezzo non si esaurisce istantaneamente nel momento in cui le parti esprimono il loro consenso ma è dilazionato in più rate secondo cadenze prefissate e solo ad avvenuto integrale pagamento delle rate l’acquirente acquista la proprietà. È bene sottolineare che l’accordo di “riservato dominio” deve essere manifestato in via esplicita, poiché la mera rateizzazione del prezzo non impedisce di per sé la produzione immediata dell’effetto traslativo. Attraverso la stipula di tale contratto, si contemperano le esigenze sia dell’acquirente che del venditore: l’acquirente, infatti, qualora voglia acquistare un bene ma non disponga dell’intera somma di denaro necessaria, può beneficiare della possibilità di frazionare la prestazione;il venditore è tutelato dal rischio di non ricevere l’intero corrispettivo conservando la garanzia reale della proprietà del bene fino al pagamento dell’ultima rata. Nonostante il passaggio della proprietà in capo all’acquirente sia sostanzialmente sospeso fino al pagamento dell’ultima rata, egli può godere immediatamente del bene e usarlo come se ne fosse a tutti gli effetti il proprietario. È data, infatti, anche la possibilità all’acquirente di vendere il proprio diritto, subentrando il soggetto che acquista nell’obbligo di pagare le rate e nel diritto di acquistare definitivamente il bene con il pagamento dell’ultima rata. In ogni caso, il bene acquistato deve essere conservato nella sua consistenza, sicché al compratore,salvo quanto appena sopra precisato, è comunque preclusa la possibilità di compiere atti di alienazione, incorporazione, trasformazione sul bene prima del pagamento integrale del prezzo e, quindi, prima di diventarne proprietario.  L’acquirente, tuttavia, si assume sin dal momento della consegna anche i rischi della rovina e della distruzione del bene, liberando il venditore-proprietario, ciò significando che egli dovrà pagare il prezzo anche nel caso in cui la cosa perisse fortuitamente. Sebbene nasca anzitutto come strumento per agevolare l’acquisto di beni mobili, oggetto del contratto di vendita con riserva di proprietà può essere qualunque bene commerciale, essendo utilizzabile tale tipologia contrattuale anche per l’acquisto di beni mobili registrati e beni immobili, dal momento che la sua natura e la sua funzione non variano a seconda del bene oggetto del contratto. E se il compratore non paga le rate? Può accadere che il compratore si renda inadempiente nei confronti del venditore non pagando una rata del contratto. In tale evenienza, occorre distinguere: Se è stato omesso il pagamento di una o più rate il cui valore è inferiore ad 1/8 del prezzo complessivo, il venditore non può chiedere la risoluzione del contratto, essendo considerato dalla legge un inadempimento di scarsa rilevanza;Se, invece, è stato omesso il pagamento di una o più rate il cui valore supera 1/8 del prezzo complessivo, allora il venditore può chiedere la risoluzione del contratto. In questo ultimo caso, il compratore deve restituire il bene al venditore il quale, a sua volta, deve restituire le rate riscosse al compratore. Quest’ultimo, tuttavia, deve corrispondere al venditore un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno se la cosa è stata da egli irregolarmente utilizzata o se questi ne ha alterato la funzionalità. È data alle parti la possibilità di prevedere nel contratto che, in caso di inadempimento, il venditore possa trattenere le rate riscosse a titolo di indennità, fatta salva la facoltà del giudice di ridurne l’entità se questa risulta sproporzionata. Se stai pensando di acquistare o vendere un immobile, contatta i notai del network Superpartes per maggiori informazioni o un appuntamento! Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Foto di Paul Brennan da Pixabay © Riproduzione riservata

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    11 gennaio 2024

    Estensione della proprietà condominiale

    Cassazione, ordinanza 4 ottobre 2023, n. 27996, sez. II civile. In tema di condominio negli edifici, in base all’art. 1117 c.c., l’estensione della proprietà condominiale ad un bene separato e autonomo rispetto alle restanti unità facenti parte dello stesso edificio o comprensorio, può essere giustificata soltanto in ragione di un titolo idoneo a farlo ricomprendere nella proprietà del condominio medesimo, qualificando espressamente tale bene come ad esso appartenente. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Foto di Sasin Tipchai da Pixabay © Riproduzione riservata

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    03 dicembre 2020

    La tutela del proprietario che subisce la...

    Cassazione, ordinanza 2 settembre 2020 n. 18220. In tema di violazione della normativa sulle distanze tra costruzioni il danno è in re ipsa, perché l’azione risarcitoria è volta a porre rimedio all’imposizione di una servitù di fatto e alla conseguente diminuzione di valore del fondo subita dal proprietario in conseguenza dell’edificazione illegittima del vicino, per il periodo di tempo anteriore all’eliminazione dell’abuso. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    15 ottobre 2020

    Spese per il balcone

    Cassazione, ordinanza del 12 marzo 2020 n. 7042. In tema di condominio negli edifici, i balconi “aggettanti” (cioè sporgenti verso l’esterno) appartengono in via esclusiva al proprietario della singola unità abitativa, dovendosi considerare beni comuni a tutti soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole. A ciò consegue che le spese relative alla manutenzione dei balconi restano a carico del solo proprietario dell’appartamento e non possono essere ripartite tra tutti i condomini. L’assemblea condominiale, pertanto, non può prendere decisioni nell’ambito dei beni di loro proprietà. È, dunque, nulla la deliberazione assembleare che disponga in ordine al rifacimento della relativa pavimentazione dei balconi di proprietà esclusiva degli appartamenti. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    12 giugno 2017

    Negoziazione assistita separazione coniugi: serve...

    Cosa cambia per il cittadino. La convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte può essere conclusa tra i coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all'articolo 3, primo comma, numero 2), lettera b), della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Gli accordi raggiunti, in tale sede, dai coniugi, possono prevedere anche il trasferimento di un bene immobile. Quando ciò accade, però, la firma dei coniugi deve essere autenticata dal notaio al fine di poter trascrivere quello che è un vero e proprio trasferimento immobiliare a tutti gli effetti. Sul punto si era recentemente aperta una diatriba a seguito della sentenza del Tribunale di Pordenone che aveva ammesso la possibilità  che fossero gli stessi avvocati, che avevano assistito alla negoziazione dei coniugi per la separazione, ad autenticare le sottoscrizioni. Tale decisione, che lascia sorpresi, è stata, però, smentita dalla Corte di Appello di Trieste, la quale ha ricondotto tutto a sistema, ribadendo come il notaio sia l'unico soggetto deputato alle autenticazione nel caso di negozi aventi ad oggetto il trasferimento di diritti immobiliari. D'altronde la tutela e la garanzia dei trasferimenti immobiliari sono esigenze quanto mai avvertite nel nostro ordinamento e come tali richiedono l'intervento di un pubblico ufficiale a tutela della certezza dei traffici e della corretta tenuta dei registri pubblici, anch'essi fondamentali al fine di garantire sufficiente sicurezza per tutti i cittadini. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes http://associazionesuperpartes.it/notai/ Il fatto Tizio e Caia, in sede di separazione, si erano accordati mediante convenzione di negoziazione assistita, tra le altre cose, anche per il trasferimento di un immobile. Gli avvocati, che avevano assistito i coniugi, avevano poi proceduto all'autenticazione delle firme e dunque richiesto alla Conservatoria dei Registri immobiliari la trascrizione dell'accordo. A seguito del rifiuto dell'ufficio, che evidenziava la necessità  dell'autenticazione da parte di un notaio, veniva proposto ricorso al Tribunale di Pordenone, il quale, in accoglimento dell'istanza, ordinava alla Conservatoria di procedere alla trascrizione. La sentenza veniva immediatamente impugnata dall'Avvocatura di Stato presso la Corte di Appello di Trieste. Le ragioni giuridiche La Corte di Appello di Trieste ha confermato quella che è l'interpretazione dell'attuale sistema normativo e che, prima di questo isolato precedente del Tribunale di Pordenone, non era mai stato oggetto di contrasti interpretativi. Secondo la legge italiana, il notaio è l'unico soggetto abilitato dall'ordinamento ad autenticare le firme nel caso di accordi tra le parti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali su beni immobili, anche quando il trasferimento del bene immobile sia occasionato da una negoziazione assistita in sede di separazione coniugale. L'art. 5 co. 3 del D.L. n. 132/2014 prevede, infatti, l'autenticazione delle sottoscrizioni da parte di un pubblico ufficiale autorizzato per tutti gli atti soggetti a trascrizione e, quindi, anche per gli atti conclusi in sede di negoziazione assistita "familiare", ai sensi del successivo art. 6. In tale caso non appaiono, infatti, sufficienti i poteri di certificazione riconosciuti agli avvocati, che di per loro non sono idonei a sopperire a quelli diversi, di autenticazione, riconosciuti ai notai. Ricordiamo, infatti, che l'art. 2657 c.c. prevede che la trascrizione non possa essere effettuata se non in forza di sentenza, atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. Risponde, infatti, a un principio di ordine pubblico il fatto che vi sia un pubblico ufficiale ad autenticare un trasferimento avente ad oggetto un bene immobile, dal momento che il nostro ordinamento riconosce tutela primaria all'esigenza di garantire certezza e sicurezza nel traffico dei diritti reali. Per leggere gli altri articoli SuperPartes clicca qui: http://associazionesuperpartes.it/extra/blog/

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11 settembre 2024

Vedi il quinto incontro delle dirette: Obiettivo Finanza Consapevole!

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