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    26 febbraio 2024

    Enunciazione del finanziamento soci stipulato...

    Cassazione, sentenza 18 gennaio 2024, n. 1960, Sez. V.Nel caso di specie, la Corte accoglie il ricorso del notaio avverso l’avviso di liquidazione avente ad oggetto il recupero dell’imposta di registro proporzionale relativa al finanziamento soci enunciato nel verbale assembleare da lui ricevuto. Ciò in quanto nella fattispecie deve escludersi la ricorrenza dei presupposti dell’enunciazione tassabile, in virtù del principio già affermato in precedenti sentenze: “in tema di imposta di registro, la delibera assembleare di aumento del capitale sociale, realizzato, come nella presente fattispecie, mediante l’imputazione di un finanziamento del socio, concluso in forma orale con la società, non è assoggettabile all’imposta, anche laddove sia ravvisabile l’enunciazione del precedente finanziamento non registrato, poiché l’imputazione determina cessazione degli effetti propri del finanziamento, in ragione del predetto utilizzo, integrandosi la causa di non imponibilità di cui all’art. 22, comma 2, del D.P.R. n. 131 del 1986 (Cass., Sez. 5, 8 febbraio 2023, n. 3841)”. Più precisamente la disposizione de qua esclude l’imposta “quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono già cessati o cessano in virtù dell’atto che contiene l’enunciazione”. Deve rilevarsi che, nel caso in esame, la convenzione enunciata (il finanziamento) ha cessato i suoi effetti a seguito della definitiva imputazione a capitale della somma già versata dal socio alla società, che ha mutato la causa della datio e che ha determinato l’estinzione (per rinuncia, ma prima ancora per compensazione: v. Cass., Sez. 1, 19 marzo 2009, n. 67011) dell’obbligo restitutorio della società nei confronti del socio, se non anteriormente, quantomeno contestualmente o in esecuzione dell’atto enunciante. (…) Cessando il finanziamento i propri effetti in ragione del predetto utilizzo, deve ritenersi integrata la causa di non imponibilità individuata dal comma 2 dell’art. 22 del D.P.R. n. 131 del 1986. Tale conclusione non risulta affatto smentita dalla recente pronuncia della Sezioni Unite (Cass., Sez. U., 24 maggio 2023, n. 14432), in cui, a differenza che nel caso in esame, il credito restitutorio derivante dal precedente finanziamento, enunciato nel verbale ed oggetto di tassazione, non si è integralmente estinto all’esito del conferimento. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Foto di Mikko Koivuneva da Pixabay © Riproduzione riservata

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    15 giugno 2020

    Finanziamenti dei soci in operazioni societarie:...

    Cosa Cambia per il Cittadino?     Alcune recenti pronunce avallano un pericoloso (per il contribuente) orientamento dell'Agenzia delle Entrate che rischia di rendere assai cara un'operazione societaria recante (anche) capitalizzazione/patrimonializzazione della società, per cui è molto importante saper attentamente costruire l'operazione. 1. Le ordinanze della Corte di Cassazione La giurisprudenza torna sul tema della "enunciazione" di finanziamento dei soci in un atto societario (nel caso di specie si trattava di un atto di scissione) e lo fa con un due ordinanze "gemelle", della medesima VI sezione, le nn. 6157 e 6158, entrambe del 5 marzo 2020. La Suprema Corte in sostanza afferma il principio per il quale se l'atto societario reca la menzione dell'aumento di capitale mediante utilizzazione di un finanziamento dei soci pregresso, non ricorre una ipotesi di esenzione dall'imposta di registro, ma si richiede l'applicazione dell'imposta. Nel caso delle due ordinanze si trattava (per quello che è lecito arguire dal testo dei provvedimenti) di un aumento di capitale, strumentale alla scissione, che veniva operato utilizzando un finanziamento dei soci pregresso e che, dopo essere stato deliberato nelle delibere delle assemblee dei soci, nell'atto di scissione veniva poi effettivamente realizzato. 2. Normativa La normativa sulla c.d. enunciazione è recata dall'art. 22 D.P.R. 131/1986, a mente del quale <<1. Se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell'atto che contiene la enunciazione, l'imposta si applica anche alle disposizioni enunciate. Se l'atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso e' dovuta anche la pena pecuniaria di cui all'art. 69. 2. L'enunciazione di contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso non da' luogo all'applicazione dell'imposta quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono gia' cessati o cessano in virtu' dell'atto che contiene l'enunciazione. 3. Se l'enunciazione di un atto non soggetto a registrazione in termine fisso e' contenuta in uno degli atti dell'autorita' giudiziaria indicati nell'art. 37, l'imposta si applica sulla parte dell'atto enunciato non ancora eseguita.>>. Come è abbastanza evidente, i presupposti perché operi l'enunciazione sono: - la registrazione del c.d. atto enunciante (non rileva se viene presentato all'Ufficio del registro poiché necessariamente da registrarsi in termine fisso oppure se registrato volontariamente o se è intercorso un caso d'uso); - la menzione, nel c.d. atto enunciante, di un diverso atto/rapporto (c.d. enunciato) non registrato: in relazione a questo, poi, la legge distingue a seconda del tipo di atto/rapporto enunciato (v. sotto). - la identità tra le parti dei due atti: peraltro deve trattarsi di una identità sostanziale, nel senso che tutte le parti dell'atto enunciato devono essere parte dell'atto enunciante, mentre non è indispensabile il contrario. Inoltre, in riferimento all'atto enunciato, la legge fa altre distinzioni. Se l'atto in questione era da registrarsi in termine fisso (atti scritti di cui all'art. 1 Tar. I allegata al medesimo D.P.R. 131/1986) la registrazione in forza di enunciazione comporta anche l'applicazione della sanzione di cui all'art. 69 (peraltro, secondo logica, questo dovrebbe avvenire solo se sono già decorsi i termini per la registrazione previsti dalla legge). Se si tratta di atti non da registrarsi in termine fisso (come gli atti soggetti a registrazione solo in caso d'uso o non soggetti a registrazione) in forza di enunciazione essi vengono semplicemente assoggettati a registrazione, con applicazione dell'imposta prevista per il caso d'uso o fissa (in sostanza l'enunciazione produce i medesimi effetti che produrrebbe una loro registrazione volontaria, a norma dell'art. 8 D.P.R. 131/1986). Se, invece, si tratta di contratti verbali, non solo sono richiesti i presupposti di cui sopra, ma costituiscono ulteriori presupposti per l'enunciazione: - che il contratto verbale fosse da registrarsi in termine fisso (cosa che, a norma degli artt. 2 e 3 D.P.R. 131/1986 è eccezione per i contratti verbali) e non lo sia stato; - che il contratto non abbia cessato i suoi effetti prima del o con l'atto enunciante. 3.  Considerazioni sul caso Il caso sottoposto alla giurisprudenza, per quello che risulta dalle scarne ordinanze, non pare rientrare nell'ambito dell'enunciazione. Innanzi tutto, l'atto di scissione è un atto che intercorre tra le società partecipanti all'operazione (anzi, nel caso di scissione con costituzione di nuova società è addirittura unilaterale), per cui difetta sicuramente l'identità tra le parti (il finanziamento vede come parti il socio e la società). Inoltre, il finanziamento non è - il più delle volte - formalizzato in atto scritto e, dunque, l'enunciazione de qua sarebbe relativa ad un contratto verbale, i cui effetti - tuttavia - sono da ritenersi o già cessati al momento dell'atto di scissione (perché il finanziamento è cessato con la rinuncia del socio alla restituzione, operata nel verbale dell'assemblea che ha approvato il progetto o operato in via extradocumentale) oppure - ed al limite - cessa con l'atto di scissione stesso (poiché il socio magari rinuncia effettivamente in quel contesto o comunque perché, in ogni caso, in quel momento le poste create con il finanziamento - rectius, la rinuncia al credito - vengono effettivamente utilizzate e appostate diversamente, onde non residua alcunché di quel credito - in questa sua veste - dopo l'atto). Per cui la tassazione in forza di enunciazione è sicuramente fuori luogo ed errata. A ben vedere, tuttavia, la giurisprudenza, pur prendendo l'abbrivio da un ricorso per violazione dell'art. 22 D.P.R. 131/1986 e pur ragionando (anche se molto - troppo - velocemente in termini di enunciazione), in realtà pare fondare le decisioni su altro ragionamento (meno esplicito). Infatti, nelle ordinanze si legge che in realtà l'atto va tassato rispetto all'aumento di capitale (come il giudice di merito aveva riqualificato il "finanziamento"), poiché l'unico caso di eccezione all'applicazione dell'imposta di registro sull'aumento di capitale è quello dell'aumento per ripianamento perdite (art. 2447 c.c. e 2482-ter c.c.). Inoltre, nell'ordinanza n. 6157, si richiama testualmente il riferimento al finanziamento come appostato ed indicato nel bilancio sociale (appunto come passività reale e non come posta del patrimonio netto) e si richiama altresì l'ord. n. 32516/2019, ove la medesima VI sezione faceva un riferimento alla rinuncia alla restituzione del finanziamento da parte del socio. Infine la Cassazione non chiarisce quale sia la misura dell'imposta di registro da applicare al caso, limitandosi a sostenere che non sussiste un caso di esenzione. Da tutto ciò deriva che, a mio avviso, la Suprema Corte - anche se in maniera criptica - ha operato un ragionamento diverso, in termini nei quali, la questione assume una fisionomia totalmente diversa. Infatti: - se si guarda all'aumento di capitale contestuale alla scissione, si può ritenere tassabile lo stesso a norma dell'art. 4, co. 1, lett. a), Tar. I e art. 21 D.P.R. 131/1986, vale a dire come modifica statutaria ulteriore (e non oggettivamente connessa) rispetto alla scissione e di contenuto patrimoniale (e con applicazione dell'imposta fissa di € 200,00); peraltro, anche questa ricostruzione presenta dei problemi (se l'aumento è indispensabile per consentire alle società che risultino dall'operazione di avere un capitale minimo di legge, dovrebbe ritenersi che esso sia "inscindibilmente connesso" - ex art. 21 D.P.R. 131/1986 - rispetto alla scissione, con conseguente tassazione della disposizione che dà luogo alla maggiore imposta; inoltre bisognerebbe ritenere che la scissione sia, ad onta della tassazione in tassa fissa di cui all'art. 4, co. 1, lett. b) Tar. I cit., una modifica statutaria di contenuto patrimoniale per giustificare, eventualmente, una doppia tassa fissa); - se, invece, si guarda al "richiamo" del proprio debito da parte della società, allora ciò potrebbe giustificare una imposizione a norma dell'art. 3 tar. I cit., come atto ricognitivo di debito, con applicazione dell'aliquota dell'1% (laddove non si ritenga di condividere la tesi della tassazione ex art. 11 Tar. I cit. anche di questa tipologia di atto); - infine, se si guarda al "passaggio" del finanziamento dal passivo reale al patrimonio netto della società, mediante "riservizzazione", lo stesso potrebbe essere tassato come remissione del debito, ex art. 5 Tar. I cit. (aliquota 0,50%), salvo che non si voglia ritenere applicabile la (nuova) imposta su donazione e atti gratuiti di cui all'art. 1 D. Lgs. 346/1990 (come mod. nel 2006). E allora, vuoi in un senso, vuoi nell'altro, una tassazione risulterebbe maggiormente giustificabile, anche se non certo la tassazione del finanziamento (verbale) enunciato al 3% (cosa che peraltro la Cassazione non afferma mai, limitandosi a sostenere che il riferimento al finanziamento non vada esente da tassazione, poiché non aumento finalizzato alla ricostituzione del capitale ridotto per perdite). Probabilmente, quello che lascia le decisioni in questione come maggiormente opinabili è il fatto che sicuramente l'atto di scissione, in quanto tale, è meramente esecutivo delle delibere e presuppone che il finanziamento sia già stato "trasformato" in poste di (potenziale) capitale, per cui non ricorrono mai i presupposti di cui sopra (nè tanto meno dell'enunciazione). Particolare attenzione, invece, andrà posta - ad avviso di chi scrive - nella tassazione delle delibere di approvazione del progetto che potrebbero appunto essere lette come recanti detto aumento di capitale o la ricognizione del debito verso il socio che si intende utilizzare oppure il consenso negoziale dello stesso (ma solo se il socio viene espressamente costituito in atto) all'utilizzazione del finanziamento, laddove vi si ravvisi una rinuncia al credito. E allora una pretesa tributaria potrebbe essere maggiormente giustificabile. L'orientamento estensivo oltremodo si appalesa del tutto contrario allo "spirito dei tempi" che stiamo vivendo, in cui molte società saranno chiamate a valutare operazioni di ricapitalizzazione/rafforzamento patrimoniale - cosa peraltro incentivata dalle stesse norme emergenziali (cfr. D.L. 34/2020 - c.d. Decreto Rilancio - art. 26). Alla luce di tutto quanto sopra,  per evitare di entrare in contrasto con l'Amministrazione Finanziaria (soprattutto in considerazione del fatto che - a torto o a ragione - la giurisprudenza pare avallare tali posizioni), è molto importante chiedere consiglio al proprio notaio, per poter costruire l'operazione nella maniera più corretta, raggiungere lo scopo perseguito ed evitare di incappare in tali situazioni, che possono costare assai caro!  Salvatore Pepe Notaio a Volpago del Montello Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes  Clicca qui per leggere gli altri articoli SuperPartes  Autore immagine: Pixabay.com © Riproduzione riservata

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    17 agosto 2017

    10 cose da sapere prima di stipulare un mutuo

    17/08/2017Ecco 10 utili indicazioni da conoscere prima di stipulare un mutuo. Il contributo dei notai di SuperPartes alla trasparenza dei diritti dei cittadini.Maggiore conoscenza per compiere scelte consapevoli.

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    03 luglio 2017

    I 5 errori da evitare quando si chiede un mutuo

    Il contributo dei notai di SuperPartes alla trasparenza dei diritti dei cittadini. Maggiore conoscenza per compiere scelte consapevoli.

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    14 giugno 2017

    Prestito vitalizio ipotecario: cos'è e come...

    Cosa cambia per il cittadino. Il prestito vitalizio ipotecario è stato recentemente riformato dal legislatore, che ha tentato di rivitalizzare un istituto che non aveva avuto molta fortuna in passato, ma che in realtà  potrebbe rivelarsi molto utile in alcune situazioni. Noto anche come "mutuo inverso" si sostanzia in un finanziamento a lungo termine, tramite il quale viene offerta in garanzia la propria abitazione in cambio di un prestito da parte della banca. Si tratta, quindi, di una valida alternativa alla vendita della nuda proprietà  al fine di ottenere una certa disponibilità  di denaro senza doversi separare dalla propria abitazione. Vediamo quali sono gli aspetti salienti della disciplina del nuovo istituto. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes http://associazionesuperpartes.it/notai/ La disciplina. La disciplina del prestito vitalizio ipotecario è contenuta nell'art. 11 quaterdecies comma 12 del D.L. n. 203/05 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 248/05) e ha per oggetto la concessione da parte di banche, nonchè di intermediari finanziari, di finanziamenti a medio e lungo termine, con capitalizzazione annuale di interessi e di spese, riservati a persone fisiche con età  superiore a sessanta anni compiuti. La legge prevede che il rimborso integrale in un'unica soluzione possa essere richiesto al momento della morte del soggetto finanziato ovvero qualora vengano trasferiti, in tutto o in parte, la proprietà  o altri diritti reali o di godimento sull'immobile dato in garanzia o si compiano atti che ne riducano significativamente il valore, inclusa la costituzione di diritti reali di garanzia in favore di terzi che vadano a gravare sull'immobile. Si tenga presente, però, anche che il finanziato può anche concordare, al momento della stipulazione del contratto, modalità  di rimborso graduale della quota di interessi e delle spese, prima del verificarsi degli eventi di cui sopra, sulla quale non si applica la capitalizzazione annuale degli interessi. In caso di inadempimento Il finanziamento è garantito da ipoteca di primo grado su immobili residenziali e qualora il finanziamento non sia integralmente rimborsato entro dodici mesi dal verificarsi degli eventi di cui sopra il finanziatore può vendere l'immobile, ad un valore pari a quello di mercato, determinato da un perito indipendente incaricato dal finanziatore e utilizzare le somme ricavate dalla vendita per estinguere il credito vantato in dipendenza del finanziamento stesso. Trascorsi ulteriori dodici mesi senza che sia stata perfezionata la vendita, tale valore viene decurtato del 15% per ogni dodici mesi successivi fino al perfezionamento della vendita dell'immobile. In alternativa, anche l'erede può provvedere alla vendita dell'immobile, in accordo con il finanziatore, purchè la compravendita si perfezioni entro dodici mesi dal conferimento dello stesso. Le eventuali somme rimanenti, ricavate dalla vendita e non portate a estinzione del predetto credito, sono riconosciute al soggetto finanziato o ai suoi aventi causa. L'importo del debito residuo non può superare il ricavato della vendita dell'immobile, al netto delle spese sostenute. Per leggere gli altri articoli SuperPartes clicca qui:http://associazionesuperpartes.it/extra/blog/

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    08 giugno 2017

    Sale and lease back: quando è nullo?

    Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza n. 11449 del 10 maggio 2017 Cosa cambia per il cittadino. Il contratto di lease and sale back è una particolare forma di leasing che assolve una funzione di finanziamento. Propriamente consiste nella vendita di un determinato bene (sale) e nella successiva stipulazione di un contratto di leasing (lease back), con cui la società  di leasing, divenuta proprietaria, lo riconcede in godimento all'originario proprietario a fronte di un corrispettivo periodico. E' una forma particolarmente diffusa tra gli imprenditori, soprattutto in relazione ai beni strumentali all'impresa. Si faccia l'esempio di un imprenditore, proprietario del capannone in cui ha sede la sua produzione, che necessiti di un finanziamento. Il lease back serve proprio in questi casi. Il soggetto potrebbe vendere il bene ad un ente esercente attività  creditizia il quale a sua volta potrebbe riconcedergli in leasing il bene. Se apparentemente l'operazione può sembrare sempre vantaggiosa per l'imprenditore, che si trova ad avere sia il denaro sia la disponibilità  del bene, occorre precisare che questo strumento può, invece, celare, a determinate condizioni, una violazione del divieto di patto commissorio contenuto nell'art. 2744 c.c. Per verificare se il contratto di lease back sia o meno nullo occorre di volta in volta guardare alla circostanze concrete in cui esso è stato stipulato per capire se nasconda in realtà  una finalità  illecita, consistente nell'abuso del soggetto in quel momento economicamente più fragile. Per approfondimenti chiedi ai Professionisti SuperPartes http://associazionesuperpartes.it/notai/ Il fatto Il curatore fallimentare di una società  aveva domandato e ottenuto la declaratoria di nullità  di un contratto di lease back avente ad oggetto un immobile, in quanto considerato violativo dell'art. 2744 c.c., atteso che nello stesso atto di vendita si precisava che l'immobile veniva acquistato "al solo scopo di concederlo in locazione finanziaria alla soc. ("¦) s.r.l.", e dunque era palese lo scopo di garanzia come causa del contratto. Inoltre altri due elementi facevano propendere in tal senso: il prezzo del bene, assolutamente sproporzionato rispetto al valore stimato nel bilancio della società  venditrice e il fatto che fosse ben noto alla società  acquirente lo stato di insolvenza in cui versava la venditrice. Le ragioni giuridiche L'art. 2744 c.c. prevede il cosiddetto divieto di patto commissorio, ovvero la nullità  di qualunque accordo con cui si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà  della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore, anche nel caso in cui il patto sia posteriore alla costituzione dell'ipoteca o del pegno. Tale regola è stata poi pacificamente considerata applicabile anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste dal Codice civile (pegno e ipoteca), ritenendola in generale un principio del nostro ordinamento, nel senso che il 2744 c.c. conterrebbe in realtà  un divieto di risultato, essendo vietati tutti quei patti con cui si determina il trasferimento del bene dato in garanzia nel caso di mancato pagamento da parte del debitore. Per capire se l'operazione posta in essere dalle parti sia preordinata alla fraudolenta elusione del divieto codicistico, occorre prestare attenzione alle circostanze del caso concreto e valutarle alla luce dei criteri sintomatici individuati dalla giurisprudenza per capire se ci sia un approfittamento delle condizioni di debolezza del venditore. Nel caso analizzato dalla Corte gli elementi fattuali che deponevano in tal senso erano abbastanza evidenti, se si considerano le difficoltà  economiche dell'impresa venditrice e la sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall'acquirente, indici senz'altro rivelatori della finalità  elusiva del divieto di patto commissorio in concreto perseguita dagli stipulanti. A ciò si aggiunga (anche se in realtà  nel caso di specie la Cassazione non l'ha ritenuto un fattore determinante) la preesistenza di un precedente rapporto debitorio tra le parti, che depone come ulteriore elemento di presunzione di una causa di garanzia sproporzionata e dunque non meritevole di tutela. Per leggere gli altri articoli SuperPartes clicca qui: http://associazionesuperpartes.it/extra/blog/

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