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    27 marzo 2017

    Lo scioglimento del contratto attraverso la...

    Cassazione civile, I sezione, sentenza 11 novembre 2016, n. 23065 Cosa cambia per il cittadino La clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto di ottenere unilateralmente e in via stragiudiziale la risoluzione del contratto, a fronte di un determinato inadempimento della controparte descritto nella clausola. Con tale clausola dunque, le parti, al momento della conclusione del contratto, convengono che, se si verificherà  un determinato comportamento inadempiente, opererà  la risoluzione di diritto, tale da dispensare la parte che doveva ricevere l'adempimento dall'onere di provare l'importanza dell'inadempimento. Essa non ha carattere vessatorio, atteso che non è riconducibile a nessuna delle ipotesi previste dall'art 1341 comma 2 c.c. che aggravano le condizioni di uno dei contraenti (come la limitazione della responsabilità , o della facoltà  di proporre eccezioni ecc.), in quanto la possibilità  di chiedere la risoluzione del contratto è connessa alla stessa posizione di parte del contratto ex art 1453 c.c., e la clausola risolutiva si limita soltanto a rafforzarla e specificarne i presupposti. La sentenza inoltre, precisa come "l'operatività  della clausola risolutiva espressa non può essere esclusa in virtù della tolleranza manifestata dal creditore, trattandosi di un comportamento di per sè inidoneo a determinare una modificazione della disciplina contrattuale ed insufficiente anche ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersi della clausola, ove lo stesso creditore, contestualmente o successivamente all'atto di tolleranza, abbia manifestato l'intenzione di avvalersene in caso di ulteriore protrazione dell'inadempimento" Per capire il meccanismo della clausola risolutiva, si ricorra ad un esempio. Tizio e Caia stipulano un contratto di consulenza professionale e inseriscono una clausola risolutiva che recita così: "qualora il ritardo dei pagamenti del compenso dovuto al Consulente dalla Committente si sia protratto per oltre "¦ giorni rispetto al termine pattuito, il Consulente, ai sensi dell'art. 1456 c.c., ha facoltà  di risolvere il contratto comunicando alla Committente, con lettera raccomandata a/r, la propria volontà  di avvalersi della presenteclausola". Se Caia non paga entro il termine pattuito, Tizio può avvalersi della clausola e sciogliere il contratto. Se la committente vuole contestare l'inadempimento, in applicazione al criterio di ripartizione dell'onere della prova enunciato dalla Cassazione in tema di inadempimento delle obbligazioni,è tenuta a provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituita dall'avvenuto adempimento (ad esempio di aver già  pagato integralmente il compenso). Il creditore invece è tenuto a provare esclusivamente la fonte del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell'inadempimento della controparte, che fa scattare l'operatività  della clausola risolutiva. Compito del giudice sarà  quello di verificare il realizzarsi dell'inadempimento previsto nella clausola e dichiarare, in caso affermativo, l'avvenuta risoluzione. L'effetto di quest'ultima non discende dalla pronuncia del giudice (di mero accertamento), ma automaticamente dalla clausola. Per approfondimenti chiedi ai Notai SuperParteshttp://associazionesuperpartes.it/notai/ Il fatto Il giudizio riguardava esclusivamente un debito residuo relativo ad un rapporto di mutuo per il quale era stato emesso il decreto ingiuntivo. Accertato che il relativo contratto prevedeva il pagamento delle rate alla scadenza senza necessità  di preavviso e la decadenza dal beneficio del termine in caso di sopravvenuta insolvenza dei mutuatari, nonchè la risoluzione di diritto in caso di mancato puntuale pagamento anche di una sola rata, si è ritenuto provato l'inadempimento degli opponenti e pertanto legittima l'intervenuta applicazione della clausola. Del tutto inconferenti si rivelano le censure riflettenti l'arbitrarietà  del comportamento della Banca, la cui configurabilità  come atto di ritorsione motivato da vicende inerenti ad altri rapporti intercorsi tra le parti non può assumere alcun rilievo ai fini dell'operatività  della clausola risolutiva. Ragioni giuridiche Ogni contraente ha per legge il diritto di chiedere giudizialmente lo scioglimento del vincolo contrattuale a fronte del mancato adempimento della prestazione contrattuale della controparte, ma l'effetto risolutorio può prodursi solo attraverso una sentenza costitutiva del giudice, in seguito all'accertamento della gravità  e la serietà  dell'inadempimento alla luce dei reciproci interessi delle parti. La previsione della clausola risolutiva espressa, invece, ha lo scopo di prescindere dalla pronuncia giudiziale e dalla valutazione oggettiva e soggettiva della gravità  dell'inadempimento, richiesta invece dall'art 1455 c.c. per la risoluzione giudiziale. Qui sono le parti a valutare in via anticipata l'importanza di un determinato inadempimento e a ritenerlo intollerabile. La sentenza chiarisce la non vessatorietà  della clausola risolutiva espressa e la sua non riconducibilità  all'articolo 1341 comma 2 c.c., in quanto non fa altro che rafforzare un diritto già  rientrante nella sfera giuridica di un contrante. Inoltre, la non vessatorietà  della clausola risolutiva espressa, è giustificata da molti con la teoria della tassatività  delle clausole vessatorie ex art. 1341 c.c. Tuttavia, la situazione potrebbe diventare più delicata quando le parti non si trovano in una situazione di parità ; nel diritto dei consumatori, il Codice del Consumo prevede che, per ritenere una clausola "vessatoria" è necessario analizzare il contratto nella sua interezza, confrontando i diversi equilibri contrattuali del consumatore (contraente debole) e dell'imprenditore. Per questo, una clausola risolutiva che preveda inadempienze minime per legittimare l'imprenditore ad avvalersi della clausola, potrebbe essere vessatoria. 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