Consiglio di Stato, sez. VI, 24 aprile 2017, n. 1907

 

Cosa cambia per il cittadino

L'attuale formulazione dell'art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), recante la disciplina delle sanzioni amministrative previste per la violazione delle prescrizioni poste a tutela dei beni paesaggistici, contiene la regola della non sanabilità  ex post degli abusi, sia sostanziali che formali. Il trasgressore, ossia colui che realizza lavori senza munirsi previamente dell'autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla p.a., è dunque "sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese", salvo "quanto previsto al comma 4". Questa severità  normativa è mitigata solo da poche e tassative eccezioni: le ipotesi del comma 4 sono basate sull'assenza di impatto sull'assetto del bene vincolato come ad esempio, per quel che qui interessa, i lavori che non creano superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati.

Per superfici e volumi non utili, si intendono opere prive di autonomia funzionale, ma consistenti in impianti serventi di edifici principali per esigenze tecnico-funzionali dello stesso.

L'orientamento dei Tar, è stato finora nel senso di ricondurre a concetto unitario sia le "superfici utili che i volumi", per cui anche i volumi, soggiacciono al divieto di sanatoria in questione, solo se sono utili.

Con la sentenza in esame, il Consiglio di Stato ha ritenuto tuttavia irragionevole che i volumi non utili, ossia quelli cd. tecnici, sfuggano al regime dell'obbligatorietà  del previo assenso, perchè si tratta di spazi fisici che, ancorchè non utili, sono in grado di pregiudicare il paesaggio tutelato dalla disciplina vincolistica.

La regola che in materia urbanistica porta ad escludere i "volumi tecnici" dal calcolo della volumetria edificabile, trova fondamento nel bilanciamento rinvenuto tra i vari e confliggenti interessi connessi all'uso del territorio; tuttavia, non può essere invocata anche in materia paesaggistica, per ampliare le eccezioni al divieto di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica in sanatoria, ove l'interesse da tutelare è quello della percezione visiva dei volumi, a prescindere dalla loro destinazione d'uso.

In conclusione, dunque, il Consiglio di Stato ha ritenuto che non siano sanabili gli abusi generati dalla realizzazione di volumi tecnici a forte impatto visivo.

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Il fatto

Una società  proponeva impugnava i pareri parzialmente negativi di compatibilità  paesaggistica adottati dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici dell'Umbria-Perugia, per lavori eseguiti in difformità  dai titoli edilizi rilasciati per la realizzazione di quattro edifici per civile abitazione plurifamiliare e negozi in una zona dichiarata di notevole interesse paesaggistico ai sensi della L. n. 1497/1939. In particolare, parte ricorrente si doleva del fatto che gli interventi edilizi avendo natura di meri volumi tecnici, essendo dei sottotetti funzionali all'installazione di pannelli solari.

Ragioni giuridiche

L'obiettivo della norma è quello di impedire qualsiasi forma di legittimazione del "fatto compiuto", in quanto l'esame di compatibilità  paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell'intervento tranne nelle tassative eccezioni, da interpretarsi restrittivamente, per cui è possibile il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica in sanatoria. Tra queste eccezioni non può rientrare la creazione di un volume tecnico, qualificazione giuridica rilevante sotto il profilo urbanistico ed edilizio ma non sotto quello paesaggistico.

D'altronde, ogni nozione normativa va interpretata con il "filtro" del suo specifico contesto disciplinare: in materia paesaggistica, non rileva l'uso dell'opera ma l'effettivo impatto che essa può avere nel paesaggio.

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Dott.ssa Eleonora Baglivo

Corte di Cassazione, sez. II penale, sentenza n. 24857 del 18 maggio 2017 - La Corte di Cassazione, in una recentissima sentenza, ha affrontato l'interessante questione della configurabilità  del reato di appropriazione indebita nel caso di mancata restituzione del denaro dato a mutuo. In particolare ci si è chiesti se l'inadempimento nella restituzione del denaro prestato possa configurare la condotta di "appropriazione" e quindi rilevare anche da un punto di vista penale.