Tribunale Ordinario di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa, ordinanza n. 51429 del 30 dicembre 2016

Cosa cambia per il cittadino.

Ai sensi della legge è considerata concorrenza sleale l'uso di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con quelli legittimamente usati da altri o l'imitazione servile dei prodotti di un concorrente. Ma anche la "forma" un prodotto può considerarsi segno distintivo, al punto che imitarla costituisce concorrenza sleale? Il Tribunale di Milano, sezione specializzata in materia di impresa, ha ritenuto di sì. Nel caso di specie la forma di una scarpa è stata considerata talmente originale e caratterizzante da essere un "elemento distintivo" del prodotto e dell'azienda produttrice e, dunque, conseguentemente, la sua imitazione un'ipotesi di concorrenza sleale disciplinata ai sensi dell'art. 2598 c.c., idonea a creare confusione sul mercato circa la reale provenienza del prodotto.

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Il fatto

Una società  operante nel settore della moda ha convenuto in giudizio due società  concorrenti, con l'accusa di aver commercializzato scarpe di imitazione, in particolare per aver realizzato una calzatura con la tomaia integralmente coperta da un fiocco, elemento che contraddistingueva quelle della ricorrente sul mercato in maniera, a suo dire, univoca. Tale condotta veniva ritenuta sussumibile nella concorrenza sleale prevista dal Codice civile, sub specie nelle ipotesi 1) e 2) dell'art. 2598 c.c., e dunque veniva chiesto al Tribunale di inibire l'ulteriore produzione, commercializzazione, importazione e promozione, nonché di condannare le convenute al pagamento di una somma per ogni giorno di ritardo nell'adempimento, con rifusione delle spese e pubblicazione del provvedimento giudiziario.

Le ragioni giuridiche

Il Tribunale di Milano ha accolto il ricorso, ritenendo però la condotta delle convenute sussumibile solamente nella prima ipotesi di concorrenza sleale prevista dall'art. 2598 c.c. e non anche nella seconda.

L'art. 2598 del Codice civile prevede tre distinte ipotesi di concorrenza sleale ed in particolare che compie atti di concorrenza sleale chiunque:

1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività  di un concorrente;

2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività  di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente;

3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda.

Or dunque il Tribunale di Milano ha ritenuto, nel caso di commercializzazione di prodotti copiati nella forma, sussistente il fumus boni iuris solamente in relazione al punto 1) dell'art. 2858 c.c.

In particolare, ha ritenuto che anche la forma di un prodotto, a certe condizioni, possa essere considerato un elemento individualizzante del prodotto immesso sul mercato. Questo perché la tutela di cui all'art. 2598, comma 1, c.c. attiene non alla forma del prodotto in sé, bensì a quegli "elementi accidentali o capricciosi che consentono di assurgere ad elemento distintivo di un prodotto". Nel caso di specie, effettivamente, la particolare forma della calzatura appariva dotata di capacità individualizzante del prodotto, in quanto costituente una caratteristica "esteriore, originale, non condizionata dalla funzione, e perciò destinata ad avere una portata distintiva", in quanto è tramite la stessa che il consumatore ricollegava il prodotto a quella determinata azienda. Inoltre, la sostanziale identicità  dei prodotti genererebbe un effetto confusorio, idoneo ad indurre in inganno il consumatore sulla provenienza del prodotto, con conseguente quindi sussistenza di tutti i presupposti richiesti dall'art. 2598 co 1 n. 1 c.c.

Al contrario, la condotta tenuta dalla convenuta non rientrerebbe nella diversa ipotesi prevista dal n. 2 dell'art. 2598 co 1 c.c., il quale disciplinerebbe una diversa ipotesi consistente nella "condotta parassitaria, che sia rivolta all'appropriazione di qualità  e pregi dell'attività  e del prodotto altrui, ferma restando la distinzione d'identità  fra gli uni e gli altri". Ipotesi che non sembra configurabile quando ad essere contraffatta è proprio la forma caratterizzante di un prodotto, riprodotta in modo sostanzialmente identico tanto da ingenerare confusione sulla provenienza (con conseguente integrazione dell'ipotesi n. 1 e non dell'ipotesi n. 2 del 2598 c.c.).

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Ai sensi della legge è considerata concorrenza sleale l'uso di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con quelli legittimamente usati da altri o l'imitazione servile dei prodotti di un concorrente. Ma anche la "forma" un prodotto può considerarsi segno distintivo, al punto che imitarla costituisce concorrenza sleale? Il Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa, con ordinanza n. 51429 del 30 dicembre 2016, ha ritenuto di sì.